Poca cosa, o niente

Poca cosa, o niente

Di Maio si è sorpreso che i Cinque Stelle abbiano deciso di farlo fuori. In realtà è sorprendente che sia ancora lì dopo i disastri che ha combinato. Nell'ordine: ha tradito i suoi elettori (sì Tav e sì Tap); in un anno e mezzo ha perso più della metà dei consensi elettorali; da ministro dello Sviluppo ha innescato il casino dell'Ilva e non ha risolto quello di Alitalia; da ormai due anni dice di voler buttare fuori i Benetton dalla gestione delle autostrade ma non sa come fare; si è fatto imbrigliare prima da Salvini e ora dal duo Renzi-Zingaretti; ha spaccato il partito tra «contiani» e «dimaiani»; come leader della maggioranza ha portato il Paese a crescita zero, e chi più ne ha più ne metta.

Di Maio voleva cambiare il mondo ma il mondo non lo ha ascoltato, e non lo ascolta neppure oggi che è ministro degli Esteri e vaga da un vertice all'altro senza toccare palla. Qualcuno glielo deve pur dire: Di Maio, lei non conta più nulla, sia nel partito che nel governo. Ho appena letto, nel libro che Claudio Martelli ha scritto su Craxi (L'antipatico, edizioni La nave di Teseo) a giorni in libreria, una frase che gli si addice. Bettino chiese al vecchio e saggio padre che cosa ne pensasse dei suoi rivali politici all'interno del Psi, e la risposta fu lapidaria: «Sono poca cosa, o niente».

Ecco, Di Maio è «poca cosa», ma peggio di lui ha fatto il premier per caso Giuseppe Conte, uno che ha tramato per farlo fuori ed è ora a un passo dal riuscirci. Se raggiungesse l'obiettivo, sarebbe l'unico successo della sua presidenza, perché sul resto i suoi due governi sono un colabrodo. Ieri ultima perla - l'agenzia economica Bloomberg ha diramato un report nel quale invita gli investitori internazionali a stare alla larga da questa Italia, l'Italia di Conte e Di Maio, per la sua scarsa affidabilità.

Eppure questi vanno avanti, a colpi di «salvo intese» tirano diritti contro ogni logica. Si scannano sulla nuova legge elettorale e sul referendum per tagliare i parlamentari cioè sul nulla incuranti del fatto che il mondo e l'Italia girano e avrebbero bisogno di una guida certa e sicura.

Conte pare aver fatta sua una famosa massima di Andreotti, che a chi gli rinfacciava l'immobilismo di uno dei suoi tanti governi rispose: «Meglio tirare a campare che tirare le cuoia». Sì, meglio per lui ma non per noi.

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