La politica vigliacca

Nel 2009, dopo la tempesta del caso Englaro, i signori del Palazzo avevano promesso: mai più. Non è stato così

La politica vigliacca

Storie che si sono conficcate come spilli nella coscienza del Paese: Eluana, nell'ormai lontano 2009, poi tanti altri nomi. Un dibattito interminabile che troppo spesso si trasforma in derby. Le invasioni di campo dei giudici e le fughe alla chetichella oltre confine per farla finita in una clinica. Oggi il dj Fabo è in Svizzera per prepararsi al grande salto, ma, contemporaneamente, l'Avvenire, il quotidiano dei vescovi, dà la parola a Matteo, disabile pure lui, che lancia un messaggio di speranza: «Fabo, non andare a morire. Noi miglioriamo il mondo».

Uno scontro fra le ragioni della vita e quelle della morte che appassiona e interroga. Sembra di stare dentro quel racconto di Conrad che descrive un duello, solo che il duello non finisce mai, si allunga come un elastico nel tempo, travolge tutti i ragionamenti e le mediazioni.

Il Paese, già lacerato su mille temi, trova così un'altra occasione per dividersi in fazioni, alla frontiera che divide il giorno dalla notte. E forse sarebbe ora di mettere un punto a questa contesa che come un terremoto apre una faglia nella collettività, spacca appartenenze politiche, famiglie, generazioni. Il tema, complesso, è stato sviscerato in tutti i modi, ora ci vorrebbe una legge che indichi un percorso e ci dica qual è, in quei frangenti difficilissimi, lo spazio di libertà di ciascuno di noi.

Certo, è difficile imbrigliare un mistero come la vita, che sfugge da tutte le parti, dentro articoli, commi, procedure, ma si deve pur cominciare. L'esistenza ha i suoi diritti fondamentali, che non possono essere banalizzati o sacrificati sull'altare di una presunta modernizzazione del Paese: nella paralisi del legislatore, timoroso probabilmente di perdere consensi di qua e di là, è cambiata in parte la mentalità comune e si è affermato un pensiero dominante, modellato dalle campagne radicali sul fine vita. C'è stato in questi anni, a nostro parere, un sottile ricatto perché Pannella e soci hanno sempre presentato l'alternativa alle loro posizioni come un retaggio di culture oscurantiste, tradizioni senza fondamento, un ritardo senza scusanti sull'Europa dei diritti civili. Non è così, i diritti dovrebbero valere per tutti, anche per chi non è capace di dar loro voce, ma tocca comunque al Parlamento dipanare la matassa. Non si può affidare il destino di persone sofferenti all'onda dell'emotività, non si può pensare che la soluzione sia una sentenza dei giudici che magari decidono il sì o il no alla dipartita del malato interpretando una frase scarabocchiata tempo prima su un diario o sussurrata a qualche amico chissà quando. E nemmeno si può pensare che l'escamotage sia farsi accompagnare da qualche amico ben introdotto nel solito ospedale svizzero. Una roulette insostenibile.

Nel 2009, dopo la tempesta del caso Englaro, i signori del Palazzo avevano promesso: mai più. Non è stato così. Dolori, incomprensioni, forzature si sono accumulati. Sia la politica, non il politically correct, a ricomporre questa lacerazione e a darci una bussola per viaggiare nell'oscurità.

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