Né mutazioni del virus né chissà quale miracolo divino. Dietro la “pausa estiva” che il coronavirus ci ha concesso potrebbero esserci banalmente il sole e il caldo. Più precisamente, l’effetto sterilizzante dei raggi solari ultrabioletti e la maggiore efficacia della nostra risposta immunitaria durante l’estate.
A metterlo nero su bianco in una ricerca sono alcuni ricercatori dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), CNR, Facoltà di Medicina dell’Università di Napoli, Dipartimento Ambiente della Regione Puglia e New York University. La ricerca, intitolata “The evolution of COVID-19 in Italy after the spring of 2020: an unpredicted summer respite followed by a second wave“, dimostra "in maniera quantitativa" l’effetto stagionale della diffusione e della gravità di Sars-CoV-2. Ma mette anche in allerta su quello che potrebbe succedere in vista del Natale, se le misure già prese non avranno gli effetti sperati.
I ricercatori, guidati dal professor Giuseppe De Natale, dirigente all’INGV, hanno analizzato i contagi in Italia da marzo a ottobre. Per correggere la variabilità dei dati giornalieri comunicati dalla Protezione civile, influenzati come noto "da pratiche di test eterogenee e perdita di casi asintomatici", si sono concentrati su due rapporti: quello tra terapie intensive e casi attivi; e quello tra decessi e casi attivi. "Questi sono due indicatori estremamente significativi nello studio dell’aggressività della malattia", ci spiega De Natale. Ciò che emerge dai complessi calcoli effettuati è che "entrambi questi rapporti, massimi all’inizio di aprile, calano bruscamente a partire da maggio e, all’inizio di agosto, raggiungono valori quasi 20 volte minori rispetto ad aprile". E oltre ad essere “drasticamente diminuiti i contagi, anche il decorso della malattia è stato estremamente più mite”.
Lo scorso maggio grandi gruppi di epidemiologia, come quello della North-Eastern University e quello dell’Imperial College, non solo non avevano previsto questo effetto mitigativo, ma avevano addirittura immaginato scenari del tutto opposti. “In Italia arrivavano ad ipotizzare entro luglio migliaia di decessi giornalieri ed oltre 150mila pazienti bisognosi di terapie intensive dopo le riaperture successive al lockdown”, spiega De Natale. L’effetto mitigante dell’estate sarebbe inoltre “definitivamente confermato” dal fatto che “da settembre-ottobre, insieme ad una fortissima impennata dei contagi, anche i rapporti tra terapie intensive e casi attivi, e tra decessi e casi attivi, sono risaliti”. E questo nonostante il totale dei tamponi sia costantemente in crescita.
Ma perché a Ferragosto ci siamo infettati di meno? Non perché il virus è mutato o diventato meno aggressivo, sostengono gli autori, visto che per ora non ci sono “basi scientifiche” per dimostrarlo. “Ci sono prove di alcune mutazioni che hanno effettivamente reso la malattia meno grave - scrivono - ma non ci sono indicazioni che tali mutazioni abbiano attualmente un’ampia diffusione”. Quindi la spiegazione deve essere altrove. “L’effetto estivo, fino ad ora sostanzialmente negato o al limite trascurato - spiega De Natale - è attribuito a due fattori fondamentali: l’effetto fortemente sterilizzante dei raggi solari ultravioletti sul virus e la nota stagionalità della risposta immunitaria, che in estate è più efficace e meno infiammatoria che nei mesi invernali”. Considerato che “in fase acuta Covid-19 si comporta come una sindrome autoimmune” (la famosa tempesta di citochine), il virus “è quindi particolarmente sensibile alla stagionalità della risposta immunitaria”. Un grafico realizzato dai ricercatori mostra l'evidente anti-correlazione tra la curva delle intensità dei raggi UV e quella dei infezioni giornaliere. “È stato dimostrato - scrivono - che la luce solare estiva inattiva rapidamente Sars-CoV-2”. Inoltre, la “stagionalità” del virus “sembra ben riprodotta da tutti gli altri paesi europei e potrebbe spiegare la bassissima letalità riscontrata in paesi caldi e soleggiati (come l’Africa, Usa e Sud America, ndr), anche in presenza di condizioni igieniche e sistemi sanitari molto più degradati che nei paesi Nord-Occidentali”.
Il problema, rispetto alla prima ondata, starebbe dunque proprio nelle stagioni. Perché se a marzo il Belpaese poteva sperare nell’arrivo del caldo, oggi all’orizzonte ci sono mesi di freddo e di sindromi influenzali classiche.
Analizzando il trend di contagi tra fine agosto e fine ottobre, i ricercatori ipotizzano che senza adeguate misure di contenimento e mitigazione, si rischia “il collasso delle strutture sanitarie, con incrementi dei pazienti Covid in terapia intensiva a fine dicembre da circa 600 al giorno (nella migliore delle ipotesi) a circa 5mila (nella peggiore)”. Con decessi che andrebbero da 500 a 5mila al dì.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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