Matteo Salvini per promuovere la manifestazione di piazza convocata a Roma l'8 dicembre ha lanciato una campagna pubblicitaria con i faccioni di personaggi ostili alle politiche leghiste - da Saviano alla Boldrini, da Juncker a Macron e alla Boschi - e sotto la scritta: «Io non ci sarò». Perfetto, pure simpatico nel giocare sull'ovvio con i nemici di sempre, per stuzzicare la pancia dei suoi sostenitori e distrarre da questioni meno ovvie. La notizia, però, è che «noi non ci saremo» ieri lo ha detto chiaramente una parte consistente di quel popolo che alla Lega (da sempre) e a Salvini guarda con interesse e fiducia e che oggi si sente tradita dall'appiattimento di quella stessa Lega alle demagogiche e sinistrorse politiche economiche e sociali dei Cinquestelle.
Mi riferisco a quello che è andato in scena a Torino, dove tremila rappresentanti di industriali, artigiani e commercianti di tutte le tendenze politiche si sono ritrovati insieme - è la prima volta nella storia - per dare un altolà a questo governo e ai suoi progetti recessivi. In quella sala, per usare le parole del presidente di Confindustria Boccia, c'era rappresentato oltre il sessanta per cento del Pil e la mia personale impressione è che si «parlava a nuora perché suocera capisca», dove la nuora era il premier Conte e la suocera Matteo Salvini.
Se Matteo Salvini non capisce, o finge di non capire, che questa non è una prova muscolare dei «poteri forti» contro il «governo del popolo» ma l'ultimo appello dell'Italia sana per rimettere in carreggiata il Paese, se non ascolta questa voce, che è la voce della sua gente, allora significa che anche lui si è perso nei fumi del potere fine a se stesso. Non è che sei nel giusto perché sabato a Roma non ci sarà Saviano, è che stai sbagliando (a sostenere Di Maio) se non ci saranno gli stendardi degli industriali, degli artigiani e dei commercianti, cioè di chi lavora e produce e dovrebbe essere per questo al centro delle attenzioni.
E il peggio è che con il suo album delle figurine di chi non ci sarà, Salvini sta mettendo sullo stesso piano chiunque, per motivi diversi, non ci sarà, cioè l'Italia migliore e i no Tav, i
lavoratori e i fannulloni. E anche noi, per i motivi di cui sopra, «non ci saremo», anche se avremmo davvero voluto tanto esserci per festeggiare insieme la fine di un incubo, quello di governare con Fico, Di Maio e Toninelli.
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