Quando Falcone attaccava le toghe giustizialiste

Il pensiero del magistrato a 25 anni dalla morte

Quando Falcone attaccava le toghe giustizialiste

«La riunione (di alcuni processi di mafia, ndr) è avvenuta sulla base di un'idea, di un'ipotesi di lavoro su cui eravamo e siamo convinti, cioè dell'unicità dell'organizzazione Cosa nostra (...). Questa idea ha costituito oggetto di vive polemiche, di vive contestazioni - anche con il presidente del Consiglio (superiore della magistratura, ndr) vi sono state diverse audizioni proprio su quella filosofia ispiratrice del pool (antimafia, ndr) - e poi come tutti sapete il pool è stato praticamente smantellato, soprattutto a seguito della nomina del consigliere Meli (il Csm lo nominò consigliere istruttore della Procura di Palermo, posto che invece sarebbe spettato a Falcone, ndr). (...) Le idee del giudice istruttore si traducono in attività investigativa, perché dalle proprie idee deriva il privilegiare un filone investigativo oppure un altro (...) ci si pongono dei quesiti per cercare di capire se (...) e dove è meglio indagare.

(...) L'informazione di garanzia non è una coltellata che si può infliggere così, è qualcosa che deve essere utilizzato nell'interesse dell'indiziato. (...). Tendo a prendere atto di una realtà: che se ogni due-tre mesi devi discutere di certi problemi, se a ogni piè sospinto il tuo capo disfa quello che tu fai un minuto prima, è chiaro che le indagini si arrestano. (...) Una volta che passa la tesi dello spezzettamento (dei processi, ndr) autorevolmente avallata dalla Cassazione, è chiaro che un tipo di modello investigativo non va più bene. (...) Io credo che il magistrato debba sopportare anche questo tipo di critiche nel momento in cui sono critiche. Non si può e non si deve tollerare l'insulto, ma la critica per carità. Anche quando non è dettata da spirito costruttivo ma da polemica induce sempre a riflettere su se stessi e a vedere se e in che misura si è sbagliato, se e in che misura si può migliorare. (...) Io posso anche sbagliare ma sono del parere che, nei fatti in cui si avanzano gravissime accuse riguardanti personaggi di un certo spessore e del mondo imprenditoriale, tutto quello che si vuole, o hai degli elementi veramente concreti oppure è inutile azzardare ipotesi indagatorie, ipotesi di contestazione del reato che, inevitabilmente, si risolvono in un'ulteriore crescita di prestigio nei confronti del soggetto che diventerà la solita vittima della giustizia del nostro Paese. (...) A me sembra profondamente immorale che si possano avviare delle imputazioni e contestare delle cose nella assoluta aleatorietà del risultato giudiziario. Non si può ragionare io intanto contesto il reato, poi si vede perché da queste contestazioni che derivano, soprattutto in determinate cose, conseguenze incalcolabili. (...) Il nostro dramma, il guaio di tutto quanto è avvenuto in Italia per quanto attiene alla gestione dei pentiti è stato di non discernere quello che è utile e quello che non è utilizzabile. Non si può consentire a queste persone di poter impunemente dire cose estremamente gravi. (...

) Oramai tutti i cassetti sono stati svuotati e adesso la musica è cambiata: sono indagini che non sono state fatte o sono state fatte male. (...) Non si può investire dalla cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l'anticamera della verità, la cultura del sospetto è l'anticamera del khomeinismo.

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