Periferie d'Italia

Quando la periferia pianificata dai grandi architetti diventa un inferno

Scampia è una periferia giardino pianificata mattone su mattone, albero dopo albero. Proprio per questo rappresenta forse uno dei fallimenti più eclatanti dello stato e di una certa filosofia urbanistica

Quando la periferia pianificata dai grandi architetti diventa un inferno

Quando si pensa a Scampia di certo non viene in mente la periferia modello. La gente che non abita lì associa subito il quartiere alla criminalità, alla droga, all’abusivismo. Eppure Scampia è una periferia giardino pianificata mattone su mattone, albero dopo albero. Proprio per questo rappresenta forse uno dei fallimenti più eclatanti dello stato e di una certa filosofia urbanistica. Fu pianificata seguendo le stesse idee del Corviale a Roma o dello Zen a Palermo. Un luogo moderno, funzionale e molto verde dove spostare gli abitanti dei rioni popolari del centro e le persone che venivano dalle campagne. Il quartiere nacque a seguito della legge n. 167 del 18 aprile 1962: “Disposizioni per favorire l'acquisizione di aree fabbricabili per l'edilizia economica e popolare".

Oltre alle case popolari furono anche costruiti moltissimi edifici per la classe media.

Il condominio simbolo del quartiere è le Vele, il pubblico televisivo lo conosce per il film e la serie televisiva di Gomorra. Questi edifici popolari sono forse l’emblema del triste destino del quartiere. Nati sotto i migliori auspici, furono schiacciato prima dalla criminalità e poi, dopo che furono bonificato dalla “piazza di spaccio”, da una funesta fama non più cancellabile. Eppure le Vele sono un mondo da scoprire, pieno di umanità e storie interessanti. Nacquero tra il 1962 e il 1975 e furono progettate dall’architetto Franz di Salvo. Alcuni edifici molto simili furono costruiti a Nizza e oggi sono un condominio di lusso. Sembrano, secondo molti, delle grandi navi da crociera e sono tutte terrazzate. I sette edifici iniziali, di cui oggi ne sono rimasti solamente quattro, si affacciano sulla Villa Comunale di Scampia.

Dal parco sembra di stare a Miami, bisogna avvicinarsi per vedere le cascate d’acqua causati da tubi condominiali rotti, le case senza finestre, l’amianto che spunta fuori da ogni dove. L’architetto costruì uno strano gioco di terrazzi e ballatoi all’interno degli edifici che s'ispirava ai Quartieri Spagnoli. Erano tanti avveniristici “bassi”, le tipiche abitazioni a livello di strada del sud. Le signore potevano passare il tempo sedute nei ballatoi a guardare cosa accadeva. Nel tempo si crearono anche negozi informali negli appartamenti e un microcosmo di vita del tutto spontaneo. La vita degli edifici cominciò ad avere le prime problematiche con l’ondata dei terremotati dell’Ottanta. Le strutture comuni, quasi di lusso, non ressero alla mancata manutenzione delle istituzioni. Gli abitanti non erano così benestanti da fare loro il lavoro che chi doveva mantenere le case popolari non faceva. Pian piano fu la camorra a inserirsi in questo vuoto.

Per alcuni anni i molti abitanti delle Vele finirono per essere vittime della volontà della criminalità che creò negli edifici una piazza di spaccio. La camorra si rese conto che molte delle case popolari di Scampia erano autentici labirinti architettonici piene di piazze interne. Bastava chiudere gli accessi con delle grate e si potevano creare dei fortini moderni dove vendere la droga. Questo destino toccò anche alle cosiddette “Case dei Puffi” o al Rione "Terzo Mondo” e altri agglomerati di case popolari. Le Vele paradossalmente furono le prime a essere bonificate grazie al lavoro delle forze dell’ordine, che per un anno intero hanno distrutto le grate che avevano reso gli edifici delle fortezze della droga. Anche la lotta trentennale del Comitato Vele, che si è battuto per il loro abbattimento, ha avuto un ruolo importante. A oggi ne sono rimaste in piedi quattro che verranno rase al suolo presto.

Solo una rimarrà in piedi per ospitare temporaneamente gli abitanti rimasti nelle altre. Dentro non si spaccia più e gli assegnatari sono stati spostati nelle nuove case popolari costruite sopra le vecchie Vele. I quattro edifici rimasti abbandonati sono stati però occupati da persone indigenti. In grandissima parte è gente onesta che ha perso tutto. Nessuno vivrebbe in un condominio con tubi rotti che creano cascate d’acqua da tutti piani, scalini in frantumi, nessun ascensore, spazzatura e amianto dovunque. Gli abitanti, con grande dignità e grazie al Comitato Vele e il CentroInsieme, sono però molto felici di raccontarsi. Purché si abbia davvero voglia di conoscerli. In questi giorni in tutta Napoli è in corso il dibattito su dove spostare chi ancora abita le Vele e su come utilizzare gli ingenti finanziamenti governativi per l’abbattimento e la ricostruzione dei tre edifici.

Sulle tre Vele abbattute anni fa sono invece sorte palazzine di massimo quattro piani e con le persiane in finto legno. Si sta anche costruendo la sede di alcune facoltà dell’Università di Medicina. L’idea è di aprire il quartiere grazie all’arrivo degli studenti. Diverso è invece il destino delle “Case dei Puffi” o di altri agglomerati di case popolari in cui lo spaccio rimane ancora un problema.

La città, pianificando una nuovo modello di periferia, ha compreso che non servono enormi agglomerati avveniristici e difficili da mantenere, ma piccole palazzine, piazze e negozi che s'ispirano a quei borghi antichi che gli anni sessanta volevano spazzare via.

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