Tomaso Montanari non si pose il problema quando un mercante suo amico vendette al Metropolitan Museum di New York un capolavoro di Antonio Corradini, artista del Settecento, che nel 1967 era ancora in Italia. Oggi invece rimprovera alla innocente Giulia Maria Crespi di voler vendere a Londra un dipinto di Alberto Burri del 1967. Secondo il moralizzatore, «avrebbe potuto (ed, essendo lei, dovuto) rivolgersi a viso aperto (?) al ministero per i Beni culturali, accettando la possibilità di un diniego e lasciando allo Stato la possibilità di acquistarlo».
Così accusa la Crespi di colpe inesistenti, a fronte di un diritto certo: «Si è scelta la via dell'alienazione all'estero, per massimizzare il profitto senza alcun scrupolo culturale e morale: l'opera è stata esportata senza dichiarare specificamente il nesso storico con la famiglia Crespi». Non è vero. La proprietà dichiarata è del figlio di Giulia Maria. Con inspiegabile cattiveria, il Montanari, discepolo di Salvatore Settis, amicissimo della Crespi, infierisce. Il dipinto di Burri sarebbe stato «portato a Venezia sperando di eludere gli organi di tutela, com'è puntualmente accaduto» (evidente offesa ai bravissimi funzionari veneziani).
Montanari incalza: «È la prassi seguita dai mercanti furbastri che ben sanno come aggirare la legge»; ma dimentica di dire che lo Stato non avrebbe mai acquistato il dipinto, perché ai musei di Città di Castello Burri ne ha lasciati circa trecento, non meno importanti.
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