Quanto potrà durare la «narrazione dell'emergenza» che Giuseppe Conte e Luigi Di Maio stanno imponendo al governo giallorosso? Fino a che punto premier e ministro degli Esteri continueranno a essere l'un contro l'altro armati senza che l'esecutivo non rischi d'incorrere davvero - e magari anche oltre le reali intenzioni dei protagonisti - in qualche pericoloso incidente di percorso? La domanda, ormai da giorni, rimbalza sottotraccia tra Palazzo Chigi, la Camera e il Senato. Perché la percezione che sta prendendo piede, dentro e fuori il Palazzo, è quella di un governo litigioso ai limiti della rottura e di un Paese in costante stato d'allerta.
Un'impressione che è il frutto di una studiata campagna comunicativa. Quella del leader grillino, che giorni fa - da Washington - ha deciso di «bombardare» la legge di Bilancio dopo che - a Roma - un Consiglio dei ministri fiume, conclusosi alle cinque di mattina l'aveva approvata sì con la formula «salvo intese» ma comunque all'unanimità (e il M5s di ministri ne conta ben dieci). Ma anche quella del premier, che ieri ha pensato bene di rilanciare dando il via a una girandola di «consultazioni» che non hanno fatto che rafforzare la «narrazione dell'emergenza». Un faccia a faccia con Di Maio la mattina, poi una serie di bilaterali con le singole delegazioni dei partiti che sostengono il governo (nell'ordine si sono presentati Pd, Italia viva e Leu), per proseguire con un vertice collegiale tutti insieme e infine - a quel punto slittato a tarda sera - il Consiglio dei ministri nel quale trovare la quadra. Insomma, una girandola di pseudo consultazioni da fare invidia al Quirinale nei giorni della crisi. Il tutto perché l'estetica è ormai più importante della sostanza. E se Di Maio deve potere dire di non avere ceduto di un passo sulla manovra, lo stesso intende fare Conte. Che, infatti, con più interlocutori punta il dito contro il leader grillino. «L'avevo detto a Luigi: se fai il ministro degli Esteri e sei in giro per il mondo come puoi pensare di fare anche il capodelegazione M5s nel governo?», la butta lì con fare paternalistico.
La verità è che i due protagonisti del braccio di ferro - così come Matteo Renzi - alzano la posta perché sanno che le elezioni sono una prospettiva lontana. Il rischio, però, è che si lascino prendere la mano.
E che - magari dopo l'infornata di nomine che nei prossimi mesi coinvolgerà moltissime partecipate pubbliche - perdano il controllo di uno scontro che ormai da giorni viaggia sul ciglio del burrone. Di certo, arrivare in queste condizioni al 4 agosto 2021 - quando si aprirà il semestre bianco - appare davvero improbabile.
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