Covid, "bomba" su ferie e vacanze: perché si rischia il licenziamento

Non si può parlare di assenza giustificata dal posto di lavoro: il viaggio all'estero comporta, a seconda dei paesi verso i quali si viaggia, un periodo di isolamento di 14 giorni

Covid, "bomba" su ferie e vacanze: perché si rischia il licenziamento

Sta facendo discutere, e non solo in ambito giuridico, quanto deciso di recente dal tribunale di Trento: il giudice ha infatti dato torto ad una dipendente, licenziata per giusta causa in seguito alla scelta di andare in ferie all'estero senza aver calcolato che i giorni di quarantena obbligatoria non le avrebbero permesso di riprendere regolarmente servizio entro il 20 agosto, come concordato.

La quarantena, prevista per chiunque rimpatri da determinati paesi stranieri, non è stata pertanto riconosciuta come motivo valido per poter evitare l'assenza ingiustificata dal posto di lavoro. Quando la sua azienda le ha dato il benservito, la donna ha impugnato la lettera di licenziamento, ma il tribunale di Trento non le ha dato ragione. Da premettere, comunque, che oltre al periodo relativo alle ferie (3-16 agosto 2020), la diretta interessata aveva già accumulato dei giorni di assenza per svariati motivi (congedo Covid, permessi legge 104, malattia del bambino), cosa che aveva già irritato i datori di lavoro. Il punto focale, nella questione in esame, resta il precedente creato per la questione quarantena, che non può essere considerata un incidente di percorso in quanto prescrizione ben nota da seguire al momento del rientro in Italia da determinati paesi all'estero.

Questo aspetto particolare ha generato molte critiche e discussioni sul web: c'è anche chi ha parlato di violazione del diritto di ferie e di intromissione nella vita privata della dipendente. Il discorso, sempre limitatamente alla questione "ferie", è stato spiegato in modo semplice, come riporta Open, anche nell'ordinanza."Contestiamo che ella, stando a quanto da ella stessa dichiarato, si sarebbe recata in Albania nonostante i ben noti divieti, restrizioni ed i rischi relativi agli spostamenti e nonostante gli altresì ben noti obblighi di quarantena/isolamento fiduciario conseguenti, disinteressandosi quindi completamente dei problemi organizzativi creati all'azienda, visti anche l'emergenza sanitaria in essere e il periodo interessato (pieno periodo estivo)".

La donna, pertanto, avrebbe dovuto conoscere le procedure a cui si sarebbe dovuta sottoporre (14 giorni di isolamento) al rientro entro i confini nazionali già dal momento della partenza: ecco perché la quarantena non si verrebbe a prefigurare come assenza giustificata dal posto di lavoro. Per rispettare i giorni previsti per le sue ferie, quindi, la donna avrebbe dovuto effettuare una scelta più oculata, anche se più "sofferta".

Un "sacrificio" che, spiega il tribunale di Trento, non è comunque paragonabile alle limitazioni imposte alla libertà personale (spostamenti, diritti civili) che tutta la popolazione si è vista costretta a subire nei mesi più pesanti della pandemia.

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