Cronache

Giornata contro i crimini sui giornalisti: quei 30 italiani uccisi per aver raccontato la verità

Dai fotoreport uccisi nelle zone di guerra alle vittime di mafia e terrorismo rosso: dal dopoguerra a oggi sono morti 30 operatori dell'informazione solo in Italia

Giornata contro i crimini sui giornalisti: quei 30 italiani uccisi per la verità
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Il mondo non è ancora un luogo sicuro per chi cerca la verità. Ce lo ricorda la Giornata mondiale contro i crimini sui giornalisti che si celebra oggi, 2 novembre, per la nona volta. Una commemorazione che quest’anno, con il conflitto armato tra Russia e Ucraina sul confine orientale dell’Europa, assume ancora più rilevanza. Basti pensare che nel 2022, nella sola città di Kiev, sono stati uccisi 32 reporter (lo ha reso noto il ministro ucraino della Cultura e della politica dell’informazione, Alexander Tkachenko, lo scorso 6 giugno tramite Telegram). Non solo. Secondo i dati diffusi dalla Federazione dei giornalisti (Ifj) durante il general meeting di Mascate (Oman), negli ultimi tre anni sono stati uccisi 203 operatori dell’informazione in tutto il mondo, con il Messico che si conferma il Paese più pericoloso al mondo in cui esercitare la professione: Article 19, l’organizzazione internazionale per "la libertà di parola e il diritto di essere informati", ha registrato 16 vittime da gennaio ad agosto 2022. È una scia di sangue inarrestabile.

La Giornata contro i crimini sui giornalisti

La prima edizione della Giornata mondiale contro i crimini sui giornalisti fu indetta dall’Unesco, nel 2013, in memoria di due giornalisti francesi uccisi in Mali, a novembre dello stesso anno. Secondo quanto riferì, al tempo, la Federazione Nazionale Stampa Italiana, i reporter di Rfi (Radio France Internationale), Ghislaine Dupont (giornalista di 51 anni) e Claude Verlon (cameraman di 55 anni), furono rapiti e poi uccisi da un commando di quattro uomini mentre si stavano recando a Kidal da Bamako, la capitale del Mali, per intervistare un portavoce del gruppo separatista Tuareg, promotore del Movimento nazionale per la liberazione di Azawad (Mnla). I corpi crivellati dei due reporter furono ritrovati a circa 12 chilometri da Kidal accanto a una macchina. Nel 2009, quattro giornalisti avevano perso la vita nel massacro di Maguindanao, nelle Filippine, tutt’oggi considerato "il più grave attacco mortale della storia" agli operatori dell’informazione. In Italia, dal Dopoguerra ad oggi, sono stati uccisi 30 giornalisti, dei quali 11 in agguati mafiosi e attentati terroristici. Vogliamo ricordarli tutti.

Giornalisti uccisi dalle mafie

Peppino Impastato

Giuseppe Impastato

Nato a Cinisi (Palermo), Giuseppe Impastato fondò, quando aveva appena 17 anni, il giornalino L’idea Socialista su cui raccontava le lotte dei disoccupati, dei contadini e degli edili. Nel 1976, attraverso le frequenze di Radio Aut, denunciò i traffici illeciti dei mafiosi nella sua città natale e nella vicina Terrasini. Nel ‘78 si candidò alle elezioni comunali con la lista Democrazia Proletaria. Fu ucciso, all’età di 30 anni, nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978. Il suo corpo, sopra una carica di tritolo, fu adagiato sui binari della ferrovia e fatto saltare in aria. Il 5 marzo del 2001, la Corte d’Assise di Palermo condannò per il delitto, di matrice mafiosa, il boss Gaetano Baldamenti e il vice Vito Palazzolo a 30 anni di reclusione.

Giancarlo Siani

Nato nel 1959 a Napoli, Giancarlo Siani era un giornalista pubblicista in attesa di assunzione che, purtroppo, arrivò solo dopo la sua morte. Sin da giovanissimo dimostrò di avere una spiccata inclinazione per il lavoro d’inchiesta collaborando con alcuni periodici partenopei. Si interessò di lavoro ed emarginazione ma soprattutto di camorra. Divenne corrispondente de Il Mattino presso la sede distaccata di Castellammare di Stabia. Il 10 giugno 1985 pubblicò un articolo in cui scrisse che l’arresto del boss Valentino Gionta era stato possibile per via di una “soffiata” che il clan dei Nuvoletta aveva fatto ai carabinieri. Fu la sua condanna a morte. Il 23 settembre dello stesso anno, all’età di 26 anni, fu ucciso sotto casa con dieci colpi di pistola alla testa. Il 15 aprile 1997, la Corte d’Assise di Napoli condannò all’ergastolo i tre mandanti dell’omicidio: i fratelli Lorenzo e Angela Nuvoletta, e Luigi Baccanti. La stessa pena fu comminata anche ai due esecutori materiali del delitto, Ciro Cappuccio e Armando del Core.

Mario Francese

Mario Francese era un giornalista di cronaca nera del quotidiano Il Giornale di Sicilia. Si occupò soprattutto delle mafie pubblicando per primo i nomi dei boss corleonesi che, verso la fine degli anni ‘70, scalarono le gerarchie di Cosa Nostra. Fu ucciso la sera 26 gennaio 1979 a colpi di pistola sotto la sua abitazione. Per circa 20 anni, la morte di Francese è rimasta impunita. Fino a quando il figlio Giuseppe riuscì a ottenere giustizia. Il processo ai responsabili, cominciato nel 2001, si concluse in Cassazione nel 2003. Per l’omicidio furono condannati a 30 anni di carcere Totò Riina, Leoluca Bagarella (lo sparatore), Raffaele Ganci, Francesco Madonia e Michele Greco. Al processo bis fu confermato l'ergastolo anche per Bernardo Provenzano.

Giuseppe Alfano

Detto "Beppe", Giuseppe Alfano era originario di Barcellona Pozzo di Gotto. Lavorò come giornalista pur non essendo iscritto all’Ordine (attribuzione che gli fu conferita dopo la morte). Insegnante di educazione tecnica e corrispondente del quotidiano catanese La Sicilia, si occupò di criminalità organizzata avviando un’indagine sul traffico internazionale di armi nella zona del Messinese. La notte del 3 gennaio 1993, fu freddato con tre colpi di pistola calibro 22 mentre era alla guida della sua auto, una Renault 9. Per il delitto fu condannato all’ergastolo il boss locale Giuseppe Gullotti.

Mauro Rostagno

Nato e cresciuto a Torino nel 1942, Mauro Rostagno visse tra l’Italia, la Germania e la Francia. Sociologo, giornalista, si trasferì in India per qualche tempo. Tornato in Italia, nel 1981, fondò a Trapani una comunità per il recupero di tossicodipendenti. Nel frattempo cominciò a denunciare gli intrighi tra la mafia e le amministrazioni locali attraverso le frequenze dell’emittente Radio Tele Cine. Fu ucciso nel 1988 in un agguato mafioso a Contrada Lenzi, all’interno della sua vettura. A 32 anni dalla sua uccisione, nel novembre del 2020, la Corte d’Assise d’Appello di Palermo confermò l’ergastolo per il boss Vincenzo Virga.

Giuseppe Fava

Classe 1925, Giuseppe Fava diventò un giornalista professionista nel 1952 dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza. Realizzò numerose inchieste giornalistiche collaborando con importanti testate nazionali, tra cui Espresso Sera. Durante la sua carriera maturò una vocazione artistica per la pittura e la letteratura. Vinse due premi letterari: il primo con il romanzo "Cronaca di un uomo"; il secondo con "La violenza". Nel 1980 assunse la direzione del Giornale del Sud, a Catania. La sera del 5 gennaio 1984 fu freddato con 5 colpi di pistola alla nuca mentre stava andando a prendere la nipote al teatro Stabile. Nel 2003, la Cassazione condannò all’ergastolo il boss Nitto Santapaola.

I cronisti dell'Ora

Mauro De Mauro

Giovanni Spampinato

Ragusano, classe 1946, Giovanni Spamipinato fu un cronista di spicco dell’edizione palermitana del quotidiano “L’Ora” realizzando numerose inchieste. Nel febbraio del 1972 si occupò dell’assassinio del costruttore Angelo Tumino, avvenuto a Ragusa, finendo così sulle tracce di Roberto Campria, collezionista d’armi nonché figlio dell’allora presidente del tribunale locale. Un intreccio di storie e affari loschi che segnò la condanna a morte di Spampinato. La sera del 27 ottobre del 1972, Campria uccise il giornalista a colpi di revolver. Al processo, l’imputato ammise le proprie responsabilità sostenendo che la vittima lo avesse diffamato in alcuni articoli. Fu condannato a 14 anni di reclusione ma ne scontò solo 8.

Mauro De Mauro

Nato a Foggia nel 1921, Mauro De Mauro era un vice questore di Polizia. Si dedicò al giornalismo a partire dalla fine degli anni ‘40 diventando un cronista d’eccellenza del quotidiano “L’Ora”. Si occupò della tragica morte del presidente Eni Enrico Mattei (avvenuta a Bascapè, 27 ottobre 1962), vicenda di cui tornò a interessarsi l’anno successivo su richiesta del regista Francesco Rosi (l’autore del film Il caso Mattei). La sera del 16 settembre 1970, svanì nel nulla mentre stava tornando a casa, in un quartiere residenziale di Palermo. La figlia di De Mauro, Franca, raccontò agli investigatori di aver visto il padre parlare con alcuni uomini poi, poco dopo, rimettersi alla guida della sua Bmw. L’auto fu ritrovata ma non il giornalista. Negli anni successivi, alcuni pentiti di mafia raccontarono che De Mauro fu ucciso per ordine di Cosa Nostra.

Cosimo Cristina

Anche la morte del giornalista Cosimo Cristina, corrispondente dell’Ora e dell’Ansa, resta un mistero. Giornalista pubblicista dal 1958, collaborò con Il Giorno, Corriere della Sera e Gazzettino di Venezia. Durante il periodo di attività realizzò alcune inchieste sui rapporti tra mafia e politica nella zona delle Madonie. La sera del 3 maggio 1960 uscì di casa e non vi fece più ritorno. Il cadavere venne ritrovato lungo la strada ferrata della linea Palermo Messina, due giorni dopo la denucia di scomparsa sporta dalla famiglia. Gli inquirenti dell’epoca archiviarono il caso come suicidio. Ma il vice questore di Palermo Angelo Mangano, indagando sulle mafie, fece riaprire il fascicolo ventilando l’ipotesi di omicidio. Una pista che, però, naufragò ben presto schiantandosi contro il muro dell’omertà.

Vittime delle Brigate Rosse

Walter Tobagi

Carlo Casalegno

Carlo Casalegno, 60 anni, era il vicedirettore del quotidiano La Stampa. Il 16 novembre del 1977 fu assassinato in un agguato ordito dalla Brigate Rosse mentre stava rincasando: morì dopo 13 giorni di agonia. Nelle settimane precedenti all’attentato, aveva ricevuto una serie di minacce e una bomba al giornale, circostanza che lo aveva costretto a spostarsi con gli uomini della scorta assegnata ad Arrigo Levi, il direttore de La Stampa. Il giorno in cui fu ucciso, per via di alcuni impegni, aveva deciso di tornare a casa da solo. Una scelta che gli costò cara la pelle. Fu freddato con una Nagant 7,62 nell’androne del suo palazzo. A sparare fu Raffaele Fiore, esponente di spicco della colonna brigatista torinese. Con lui c’erano anche Piero Panciarelli, Patrizio Peci e Vincenzo Acella, anch’essi terroristi rossi. Nel 1983, l’omicidio di Casalegno venne inserito in un maxi processo contro le Brigate Rosse. Il 29 luglio dello stesso anno, Raffaele Fiore e Vincenzo Acella furono condannati al carcere a vita. Otto anni al pentito Patrizio Peci mentre Panciarelli era morto durante un’operazione dei carabinieri.

Walter Tobagi

Walter Tobagi cominciò la carriera da giornalista giovanissimo, lavorando come redattore della Zanzara, lo storico giornale del liceo "Parini" di Milano. Si distinse per le sue abilità di scrittura e, subito dopo il diploma, entrò a far parte della redazione del quotidiano "Avanti!". Da lì seguirono altre collaborazioni con quotidiani di rilievo nazionale tra cui il Corriere della Sera. Si interessò di temi sociali e politica ma soprattutto di vicende legate al terrorismo delle Brigate Rosse degli Anni di Piombo. Firmò la sua condanna a morte nella primavera del 1980, quando in diversi articoli iniziò a delineare la crisi del terrorismo rosso. "Non sono samurai invincibili", scrisse delle Br, una frase che suona come un testamento. Tobagi fu ucciso la mattina del 28 maggio del 1980 in un agguato pianificato dal gruppo “Brigata XVIII Marzo”. Ad aprire il fuoco furono Marco Barone, a capo dell’organizzazione, e Mario Marano, che spararono al giornalista in via Salaino a Milano. Aveva 33 anni. Nel 1983, nell’ambito del processo ai componenti del processo al collettivo rosso, Barone fu condannato a 8 anni e 9 mesi di reclusione (era diventato un collaboratore di giustizia) mentre Mario Marano incassò una pena di 20 anni e 4 mesi (poi ridotti a 12 in Appello).

Reporter morti sul campo

Almerigo Grilz

Almerigo Grilz

Nato a Trieste nel 1977, Almerigo Grilz è stato il primo giornalista italiano caduto sui campi di battaglia dalla fine della Seconda guerra mondiale. Elemento di spicco del Fronte della Gioventù, e vero punto di riferimento per il mondo culturale di destra italiano, abbandona la politica per occuparsi esclusivamente di gioranlismo come inviato di guerra - "freelance", come amava definirsi - in Afghanistan, Libano, Cambogia, Filippine e Angola. Nel 1983 fondò insieme ai colleghi Gian Micalessin e Fausto Biloslavo Albatros Press Agency, un’agenzia stampa che si occupa di fenomeni bellici nel panorama internazionale. Fu ucciso nel 1987 in Mozambico, colpito da un proiettile mentre stava immortalando con la videocamera gli scontri tra i miliziani del fronte Renamo e quelli del governo. A lui è stata intitolata una strada sul lungomare di Barcola (Trieste).

Maria Grazia Cutuli

Maria Grazia Cutuli fu una delle inviate di spicco del Corriere della Sera, riconoscimento che le venne attribuito dopo la sua morte. Dopo aver esordito come cronista al quotidiano La Sicilia, passò al settimanale regionale Sud collaborando con la rete televisiva Telecor International. Successivamente si trasferì a Milano dove frequentò la scuola di giornalismo. Cominciò a interessarsi di politica internazionale trasferendosi, per circa un anno, in Rwanda. Morì in Afghanistan all’età di 39 anni sulla strada che collega Jalabad a Kabul. Un gruppo di uomini armati bloccò l’auto su cui stava viaggiando Maria Grazia con altri quattro colleghi. I reporter furono dapprima fatti scendere dall’auto e poi uccisi con scariche di Kalashnikov.

Vittorio Arrigoni

Scrittore e blogger, Vittorio Arrigoni lasciò l’impiego nell’azienda di famiglia per dedicarsi alle missioni di cooperazione umanitaria tra i Paesi dell’Est Europa, Perù e Africa. Nel 2002 si trasferì nella striscia di Gaza. Cominciò a scrivere articoli da Gaza per Il Manifesto e altre testate. Ottenne la notorietà internazionale con il blog "Guerrilla Radio" su cui pubblicava i suoi reportage. Il 14 aprile 2011 fu sequestrato all’uscita di una palestra da un commando palestinese jihadista. Un video pubblicato su YouTube testimoniò che era stato bendato e legato. Fu ucciso il giorno successivo al rapimento, all’età di 36 anni. "Restiamo umani" è il motto che accompagna la sua produzione giornalistica.

Antonio Russo

Originario di Francavilla a Mare, Antonio Russo era un cronista freelance con una consolidata esperienza all’estero. Dal ‘95 si occupò della guerra in Kosovo lavorando come inviato per Radio Radicale dove rimase fino al 31 marzo del 1999. Fu ucciso in Georgia, nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2000. Il cadavere fu ritrovato sul ciglio di una strada di campagna a Tiblisi. Addosso i segni di atroci torture. Le attrezzature, i filmati e gli appunti che aveva con sé non furono mai ritrovati. Fu svaligiata anche la camera d’albergo in cui alloggiava. Le circostanze della morte non sono mai state chiarite.

Gabriel Grüner

Era un giornalista italiano (originario della provincia di Bolzano) di lingua tedesca. Sin da subito si affermò come inviato speciale di guerra collaborando con il settimanale tedesco Stern. Divenne esperto dei conflitti nei Balcani ma, durante la sua breve e intensa carriera, fece tappa anche in Algeria, Somalia, Sudan e Afghanistan. Morì all’età di 35 anni il 13 giugno del 1999. Fu ucciso a colpi d’arma da fuoco esplosi da un cecchino al check point di Passo di Dulje, nel Kosovo Occidentale.

Enzo Baldoni

Nato e cresciuto a Città di Castello (Perugia), Enzo Baldoni cominciò a lavorare come giornalista freelance a partire dal 1996 collaborando con Linus, Specchio della Stampa e Venerdì della Repubblica. Si trovava da circa due settimane in Iraq quando nel 2004 fu rapito da un’organizzazione fondamentalista islamica vicina ad Al Qaeda mentre si trovava a bordo di un convoglio umanitario diretto a Najaf. Fu ucciso dopo un ultimatum all’Italia affinché ritirasse le truppe entro 48 ore. La data e il luogo della brutale esecuzione a cui fu sottoposto restano tuttora incerte. Le sue spoglie furono riconsegnate alla famiglia nel 2010.

Marcello Palmisano

Marcello Palmisano era un operatore di ripresa Rai profondamente innamorato del suo lavoro. Aveva 55 anni quando, nel 1995, durante un servizio realizzato dal Mogadiscio per il Tg2 con la giornalista Carmen Lasorella, rimase coinvolto in una sparatoria tra la scorta di cui erano stati dotati i due reporter e un gruppo di uomini armati. Gli undici sparatori furono tutti identificati ma mai assicurati alla giustizia.

Guido Puletti

Nacque in Argentina da padre italiano e madre di origini anglo iberiche. Si trasferì in Italia dove, nel 1981, cominciò a collaborare con il quotidiano Brescia Oggi. Successivamente maturò un interesse per i nuovi assetti politici e sociali nell’Europa dell’Est. La guerra in Jugoslavia diventò centrale nella sua attività giornalistica. Morì in Bosnia, dove lavorava anche come volontario, all’età di 40 anni, il 29 maggio del 1993. Il convoglio su cui viaggiava fu assalito. Nell’agguato persero la vita anche uno studente di 21 anni, Sergio Lana, e l’imprenditore cremonese Fabio Moreni.

Fotoreporter uccisi nelle zone di guerra

Il videoreporter italiano Simone Camilli. Sullo sfondo, fumo sale dopo un attacco israeliano
Il videoreporter italiano Simone Camilli. Sullo sfondo, fumo sale dopo un attacco israeliano

Raffaele Ciriello

Raffaele Ascanio Ciriello nacque a Venosa il 2 agosto del 1952. Si laureò in Medicina ma poi si dedicò alla sua grande passione: la fotografia. Cominciò a lavorare come fotoreporter verso la fine degli anni ‘90 documentando il dramma della guerra in Somalia e in altre parti del mondo. Morì il 13 marzo 2002, freddato a colpi di mitra. Lasciò la moglie e la figlia di soli 18 mesi.

Fabio Polenghi

Originario di Monza, Fabio Polenghi morì all’età di 48 anni mentre stava lavorando a un reportage in Thailandia sul movimento antigovernativo delle "camice rosse". Il 19 maggio del 2010, si ritrovò nel mezzo di uno scontro sanguinoso tra l’esercito thailandese e i manifestanti. Nella mischia, fu colpito al petto da un proiettile che non gli lasciò scampo.

Simone Camilli

Simone Camilli nacque a Roma il 28 marzo 1979. Figlio di un giornalista Rai, conseguì la laurea in Scienze storico-religiose, presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma. Durante gli studi accademici cominciò a collaborare come fotoreporter con varie testate tra cui Asia News e Associated Press (Ap). Si interessò di politica ma soprattutto di guerra e conflitti internazionali: dall’indipendenza del Kosovo (2008) alla Seconda guerra in Ossezia del Sud (2008). Morì il 13 agosto 2014 a Gaza. L’autopsia accertò che il 35enne morì per via delle ferite riportate a seguito dell’esplosione di un ordigno.

Il caso di Andy Rocchelli

Il passaporto di Andrea Rocchelli

Professione fotoreporter. Andrea Rocchelli (altrimenti noto come Andy) faceva parte del collettivo di fotografi "Cesura" di cui era stato egli stesso co-fondatore. Nato e cresciuto a Pavia, dopo la laurea specialistica al Politecnico di Milano, viaggiò moltissimo tra Africa, Russia ed Europa. Le sue foto furono acquisite da agenzie stampa di rilievo internazionale e poi pubblicate su testate di prestigio come Le Monde, The Wall Street Journal e Novaja Gazeta. Morì all’età di 30 anni, il 24 maggio 2014, nelle vicinanze della città di Sloviansk, in Ucraina Orientale, mentre stava filmando il dramma dei civili durante il conflitto in Donbass. Fu ucciso da una scarica di mortaio durante gli scontri tra l’esercito e la Guardia nazionale ucraina. Con lui perse la vita anche il giornalista Andrej Mironov (un giornalista russo iscritto al Partito Radicale) mentre un altro fotoreporter, il francese William Rougelon, rimase gravemente ferito.

Inviati e operatori di ripresa

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Ilaria Alpi e Miran Hrovatin

Romana, classe 1961, Ilaria Alpi iniziò la sua carriera di giornalista come reporter dal Cairo per i quotidiani Paese Sera e L’Unità. Successivamente diventò una delle inviate di punta di Rai 3 documentando la guerra in Libano, Kuwait e Somalia. Fu uccisa assieme al cameraman Miran Hrovatin, fotografo e operatore di ripresa, in un agguato. Un duplice omicidio che si consumò il 20 marzo del 1994 a opera di un commando somalo. Al tempo, Ilaria Alpi si stava occupando di traffico internazionale d’armi e rifiuti tossici illegali. Dal 2015 è stato istituito un premio giornalistico che porta il suo nome, assegnato ogni anno alle migliori inchieste realizzate sui temi della solidarietà e della pace.

Marco Lucchetta, Dario D’Angelo e Alessandro Ota

Marco Lucchetta, classe 1952 di origini triestine, aveva ben chiaro che il dovere di un giornalista fosse quello di documentare la realtà. Dopo aver esordito come cronista sportivo, dalla fine degli anni ‘80 cominciò a occuparsi di cronaca entrando a far parte della Rai, nella sede regionale del Friuli-Venezia Giulia. Dal 1991 lavorò come inviato dalla Jugoslavia immortalando il dramma umano che si consumava durante il periodo della guerra. Nel 1994 partì per la Bosnia. Prima di rientrare a Trieste, a gennaio dello stesso anno, decise di fare tappa a Mostar Est per completare un lavoro di reportage che aveva cominciato tempo addietro. Morì durante un bombardamento. Nell’attentato persero la vita anche il tecnico di ripresa Dario D’Angelo e l’operatore Alessandro Ota.

Italo Toni e Graziella De Palo

I corpi di Italo Toni e Graziella De Palo non sono mai stati ritrovati. Entrambi svanirono in circostanze pressoché misteriose da Beirut, dove si erano recati per documentare le condizioni dei profughi e la situazione politico-militare in Libano. La mattina del 2 settembre 1980 uscirono dall’albergo in cui alloggiavano e non vi fecero più ritorno.

Fu avviata un’inchiesta che, però, si concluse senza alcun esito.

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