Ogni volta che mi accingo a scrivere di politica e affini mi tremano i polsi: ho paura di disgustare i lettori, che non ne possono più di discorsi inconcludenti, di premesse e di promesse mai mantenute.
Lo so. La mia è una excusatio non petita, o forse patita, ma era indispensabile metterla nero su bianco per tentare di essere assolto. Attenzione, signori. Parlo di faccende istituzionali, le più pallose. Veniamo al dunque. Si dà il caso che in ottobre si voterà il referendum confermativo utile a dare il via libera alle riforme costituzionali, approvate dal Parlamento (e ispirate da Matteo Renzi), oppure a bocciarle. C'è di tutto e di più: la modifica (anzi, il pasticcio) del Senato, l'aggiustamento del titolo V; e trascuriamo la legge elettorale che è un'altra storia, addirittura peggiore.
Mentre scrivo mi rendo conto che si tratta di materia talmente ostica da essere indigeribile per chi non sia del ramo. Sono sicuro che l'elettore, allorché si recherà al seggio e leggerà i quesiti stampati sulle schede, non capirà nulla. Per riassumere le questioni sottoposte a giudizio popolare, talmente complesse - più nella forma che nella sostanza - da far perdere le trebisonda agli esperti, sarebbero indispensabili cinque pagine. Sintetizzarle in poche righe non è impresa umanamente sostenibile.
Cosicché il testo definitivo, ridotto per forza di cose all'osso, sarà incomprensibile. E noi poveri tapini, di fronte a una prosa tecnica ed ermetica, ci sentiremo degli analfabeti, nemmeno sfiorati dal sospetto che i tangheri siano coloro che ne sono stati gli autori. Domanda: che senso ha chiedere un parere alla gente sulla base di interrogativi che essa non è in grado di decriptare? Trattasi di imbroglio. Altro che democrazia trasparente.
I politici in prossimità della consultazione, cercheranno di semplificare spiegando in tivù e sui giornali quali siano gli obiettivi del plebiscito, ma faranno solo una gran confusione perché in realtà il loro intento non sarà la chiarezza, bensì ottenere un consenso vantaggioso per la loro parte. In pratica, il referendum coglierà impreparati i cittadini, come del resto sono impreparati coloro che lo hanno proposto. In altri termini, ciascuno di noi voterà sì o no non per convinzione, ma per circonvenzione. Un esercizio scriteriato e sfruttato dai partiti onde lucrare un sostegno a prescindere dagli interessi dei votanti.
Al solito, saremo schiavi delle norme, delle parole astruse, della dittatura burocratica; quella che noi forniremo non sarà una opinione consapevole, ma un attestato di fiducia a questo o a quel leader, il più convincente o il più simpatico. Va da sé è che, stante la situazione descritta, nessuno adesso è in grado di ipotizzare chi vincerà e chi perderà. La decisione finale sarà umorale, non razionale. I sondaggi - che non mancheranno - saranno inaffidabili, la dimostrazione che il nostro sistema è assurdo e agisce come il gioco del lotto; premia i manipolatori esperti e non chi ha ragione.
Per entrare nel merito dei problemi, ci corre l'obbligo di dire: non è vero che le riforme in esame aboliscano il bicameralismo perfetto (di perfetto non esiste nulla su questa terra). Né che aboliscano il Senato stesso, magari lo facessero. Si limitano a complicarne la struttura, a renderla un labirinto di idiozie. Un po' come è successo per le Province. Si puntava a cancellarle, invece sono soltanto sospese. Costano come prima e se ne ignorano le competenze.
Le Regioni, oltre ad essere sgangherate, numerose e onerose, sono associazioni per delinquere, ma nessuno le tocca. Perché? Servono a retribuire una classe politica fallita e scroccona, inorridita all'idea di lavorare sul serio e che incassa e tira a campare.
E noi ne paghiamo le spese. Dicono che se il referendum non passa, Renzi vada a casa aprendo la crisi di governo. Non ci credo. Non è col casino che si elimina un altro casino. Andremo avanti alla carlona. Prevarrà, come al solito, chi ha torto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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