Quando la par condicio diventa una presa in giro. In questi giorni, anche come addetto ai lavori, essendo membro del Cda Rai, ho guardato con particolare attenzione alcuni dibattiti televisivi (e non solo) in vista del referendum costituzionale del 4 dicembre e mi sono reso conto che c'è modo e modo di essere imparziali tra le ragioni del «sì» e quelle del «no».
È vero, Vespa, onore al merito, ha equamente ripartito il suo spazio tra il partito dei renziani e quello degli antagonisti. È anche vero che Fazio, dopo le bacchettate dell'Agcom che solo ora si è accorta della disparità del trattamento - ha dovuto dare spazio a Salvini, dopo avere già dedicato una serata al premier. Ma proprio perché servizio pubblico, la Rai dovrebbe essere assolutamente sopra le parti. Anche quando è previsto un duello fifty-fifty, come ieri dall'Annunziata, in effetti, non è proprio stato così perché da una parte c'era, tanto per cambiare, Renzi mentre lo sparring partner rispondeva al nome di Landini che sarà pure simpatico ma esprime spesso posizioni estreme: a tale osservazione risponderanno, magari, che nessun altro, tranne Landini, è voluto andare in trasmissione per controbattere al premier.
Ma c'è anche un'altra questione in ballo: è sufficiente soffermarsi sui servizi di alcuni tg delle reti Rai andati in onda nelle ultime settimane. Non si tratta, infatti, soltanto di dare uguale spazio ai sostenitori dei due fronti: tot minuti al Matteo di Palazzo Chigi, tot minuti al Matteo del Carroccio. È anche una questione di qualità dell'informazione, di come, cioè, vengono trattate le varie notizie anche non collegate direttamente ai quesiti referendari. Su vari argomenti d'attualità, possiamo essere orientati direttamente a seconda delle notizie che ci vengono date, quelle al latte e miele o quelle al peperoncino piccante. Considerando - secondo gli ultimi sondaggi, per quello che contano - che il 25 per cento degli italiani è ancora incerto sul quiz del 4 dicembre, i riflettori eccessivamente puntati su Renzi, dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, possono spostare il voto di molti indecisi. Così come il troppo spazio dedicato ai guai dei grillini o alle divisioni all'interno del centrodestra può fare oscillare la bilancia in un verso o nell'altro. Potrò sembrare sospettoso, ma mi chiedo per quali (reconditi?) motivi, nei telegiornali sono stati spesi fiumi di parole a proposito della voce grossa di Renzi contro l'ormai odiata Europa, così come il clamore sul report di Bankitalia che, dopo Confindustria, ha messo in guardia contro gli effetti quasi apocalittici di un bel «no». E pure le notizie estere possono essere trattate ad usum delphini. È il caso di Trump: dopo avere incassato la vittoria del tycoon che si è trasformata in sonante schiaffo per Renzi troppo esposto a favore della Clinton e di Obama per ricevere in cambio tanti yes, molti opinionisti continuano a dire peste e corna del prossimo inquilino della Casa Bianca. A sentire certi commenti, sembra quasi che Trump si sia pubblicamente espresso sulla nostra consultazione a favore del «no». E pure certe notizie economiche che arrivano dagli Usa - è il caso del dollaro tornato a salire dando, così, maggiore competitività al made in Italy - vengono trascurate.
Tanti argomenti delicati che dovrebbero essere subito affrontati dai vertici di viale Mazzini ma, stranamente, il prossimo consiglio d'amministrazione della Rai è stato convocato a distanza di quasi un mese dall'ultimo che si era tenuto lo scorso 9 novembre. Guarda caso, si svolgerà solo dopo il referendum, esattamente il 6 dicembre, mentre il successivo è in calendario il 14. Come spiegare un simile blackout? Sembra quasi che i membri del consiglio vengano chiamati quando i buoi sono già scappati dalla stalla.
So che altri consiglieri sono d'accordo con me e cercherò, quindi, di chiedere - con il Giornale che mi fa oggi da megafono - la convocazione di un Cda straordinario a stretto giro di posta. La Rai è di tutti o è solo di qualcuno?
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