Quel regime delle fake news che rilancia l'allarme razzismo

Prima l'omofobia, poi l'allarme fascismo e quello razzismo. Ma siamo sicuri che gli episodi siano oggi più numerosi e pesanti di ieri?

Quel regime delle fake news che rilancia l'allarme razzismo

Vi ricordate di Andrea, il “ragazzo dai pantaloni rosa”? No? Ne parliamo tra poco. Adesso è importante notare che molti degli episodi di “razzismo”, denunciati a gran voce nelle scorse settimane su tutte le prime pagine nazionali, si sono sgonfiati e hanno rivelato la loro vera natura, a metà tra la goliardia e la cafonaggine. Per primo il più strombazzato, quello dell’atleta Daisy Osakue, italiano di origine nigeriana, colpita al volto da un uovo. Selvaggio pestaggio con motivazioni razziste, sentimmo dire nei primi giorni. È saltato fuori che era il gesto stupido di alcuni ragazzetti annoiati. Dovrà curarsi e saltare i campionati europei in programma a Berlino, leggemmo allora. Falso anche questo: Daisy, per fortuna, è regolarmente in gara con la maglia azzurra. Poi ci fu il senegalese ferito a Napoli: storia di malavita, venduta nei primi giorni come episodio di intolleranza razzista. E ancora: a Pistoia un sacerdote denuncia colpi d’arma da fuoco contro i migranti ospiti di un centro d’accoglienza. Bastano pochi giorni ed è lo stesso sacerdote a raccontare che si trattava di colpi di scacciacane. Brutto, becero, ma sparare alla gente è un’altra cosa.

E via via, di episodio in episodio. Secondo alcune statistiche, addirittura un episodio di violenza razzista ogni due giorni. Anche la morte atroce di immigrati sfruttati nei campi del Sud in diversi incidenti stradali è stata rubricata, con accorti artifici retorici, nel problema del razzismo giudicato ormai imperante, quando invece si tratta di un problema di legalità (dell’immigrazione e del lavoro) irrisolto da molti anni. Il minimo che si possa dire è che non è cominciato con l’arrivo di Matteo Salvini al ministero degli Interni né con quello di Luigi Di Maio al ministero del lavoro.

A proposito di Di Maio: il Decreto Dignità sarà magari la più grande sciocchezza del secolo e Tito Boeri, il presidente dell’Inps, magari ha ragione a prevedere fosche conseguenze, ma come si poteva credere al tweet dell’ormai famoso Tony Nelly? Ricapitoliamo: Tony Nelly ha un contratto a termine, il capo del personale lo chiama, gli dice che il contratto non sarà rinnovato e dà la colpa appunto al decreto Dignità. Ma il capo del personale che cosa doveva dire a Tony Nelly? Ti caccio perché mi stai sulle balle, perché sei un incapace, perché devo risparmiare, ragioni possibili se non probabili? Perché non approfittare della magnifica scusa offerta dal governo e dalle polemiche sul Decreto? Eppure il tweet è stato diffuso in ogni modo possibile, a riprova che il Decreto produceva disastri ancor prima di entrare in vigore.

Se non altro, in questo quadro orribile, abbiano scoperto che i famosi troll russi che attaccavano il presidente Mattarella non erano russi, forse non erano nemmeno troll. E alla fine questo famoso hashtag (Mattarella dimettiti) non era poi granché come minaccia. Pensate che cosa avrebbero dovuto dire, ai tempi loro, il presidente Leone e il presidente Cossiga di fronte alle aggressioni di quelli che oggi si autodefiniscono “informazione di qualità”…

Ed è qui che arriva il povero Andrea, il “ragazzo dai pantaloni rosa”, che si suicidò nel 2012. Subito si scatenò la sindrome dell’omofobia, del ragazzo perseguitato perché gay. Due anni dopo, l’inchiesta stabilì che si trattava di tutt’altro, che l’omofobia non c’entrava per niente. Ma nel frattempo erano partite le campagne per la legge contro l’omofobia (presentata in Parlamento nel settembre 2013) e per la legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso (la prima proposta di legge unificata, quella che sarebbe diventata la “legge Cirinnà”, fu depositata nel giugno 2014), e dal caso del “ragazzo dai pantaloni rosa” in poi la stampa nazionale prese a denunciare tre-quattro casi di omofobia a settimana.

La campagna di stampa sull’omofobia imperante andò avanti fino al giugno 2016, quando l’unione civile per gli omosessuali fu introdotta in Italia dai commi 1-35 della legge n°76, la “legge Cirinnà”, appunto. Dopo l’approvazione della legge i casi di omofobia sparirono da giornali e Tg. Si era dissolta l’omofobia? Per nulla, a sentire l’Arcigay. Nel solito rapporto annuale, l’associazione denunciava 196 casi di omofobia tra il maggio 2016 e il maggio 2017 (il 17 maggio è la giornata internazionale contro l’omofobia), quasi il doppio dei 104 denunciati per il periodo maggio 2015-maggio 2016. Ma con la legge Cirinnà andata in porto, cioè con il vero obiettivo politico raggiunto, a chi importava più dei casi veri o presunti di omofobia?

È chiaro che alcuni degli episodi di queste ultime settimane (per esempio la bambina colpita con un piombino alla schiena, o certe altre aggressioni) hanno avuto motivazioni di stampo razzista. Ma siamo sicuri che tali episodi siano oggi più numerosi e pesanti di ieri? L’esagerazione, la drammatizzazione, l’esasperazione dei fenomeni sono un modo come un altro per produrre fake news. Un conto sono alcuni “episodi”, cosa ben diversa è una “ondata”. Proprio come un acquazzone estivo non è l’uragano Katrina. Allo stesso modo è impossibile credere che l’Italia sia stata martellata di violenze omofobe ma, analizzando i giornali, solo fino una certa data.

Non è curioso che nessun giornale abbia sentito la necessità di approfondire la vicenda dello sfortunato e licenziato Tony Nelly, sentendo magari il datore di lavoro? Non è strano che il caso di Daisy, avvenuto a Moncalieri, a un passo da Torino, sia stato indagato così poco e solo da un quotidiano di Milano, e non dal quotidiano dominante in Piemonte, noto tra l’altro per la sua attrezzatissima cronaca?

La verità è che viviamo in un regime di fake news permanente. Per questo si ha tanto timore delle fake news altrui: è concorrenza e il monopolio non la gradisce.

D’altra parte, se davvero sono stati gli hacker russi a rivelare a Wikileaks che la corsa elettorale del Partito democratico Usa era truccata oscenamente a favore di Hillary Clinton e a sfavore di Bernie Sanders, dovremmo non temerli ma elogiarli. Dopo tutto, è l’unica notizia vera sulle presidenziali americane che abbiamo avuto.

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