Mentre a Ferrara continua l'esposizione della collezione Cavallini-Sgarbi, ricordo un pamphlet contro di me che un ferrarese livoroso mi dedicò. Storico senza cattedra, Alessandro Roveri, si è molto occupato di fascismo, dedicando libri a me e a Berlusconi. Oggi, che si è ritirato, vedo che dalla sua bibliografia ha cancellato il perfido libello contro di me, ma non quello in favore di Antonio di Pietro del 2005.
Pensando, dopo più di vent'anni al destino degli uomini, non mi compiaccio della sua attuale irrilevanza, della mia resistenza e del riconoscimento della mia città, ma provo compassione per chi mi ha ingiuriato. Non gli posso perdonare le cattiverie contro mia madre e il disprezzo che oggi la mostra al Castello smentisce per «l'ambiente piccoloborghese e provinciale» nel quale sarei cresciuto: «Una ristretta cerchia di possidenti di campagna che si sentivano assediati dalla pressione psicologica del circostante movimento contadino rosso».
Povero mio padre farmacista, che si è raccontato in quattro bellissimi libri (Lungo l'argine del tempo) di umanissima verità! Quanta inutile, disumana, retorica ideologica in quelle parole! Può uno storico parlare di un uomo non conoscendone il luogo di nascita? Io sono nato a Ferrara, non a Ro come scrive Roveri.
Non mi sono «iscritto alla Federazione giovanile del Partito monarchico». Non sono stato «retribuito» ,per scrivere il libro sopra le opere della Città di Rovigo ma ero in aspettativa senza assegni. È questo il rigore di uno storico? Omnia vanitas.
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