Cronache

Sanità, la Consulta “boccia” la Basilicata

La Corte Costituzionale dice no a cinque leggi regionali sui centri sanitari che operano in regime di convenzione pubblica

Sanità, la Consulta “boccia” la Basilicata

Sono cinque le leggi regionali della Basilicata che la corte costituzionale ha bocciato. Riguardano tutte il settore della sanità. Sono state impugnate dall'organo di garanzia costituzionale sotto il governo Gentiloni e oggi arriva il verdetto dei giudici.

Secondo quanto si legge sul quotidiano regionale La Gazzetta del Mezzogiorno che ne dà notizia, queste leggi considerate "incostituzionali" riguardano le autorizzazioni per i centri sanitari privati che operano in regime di convenzione col sistema sanitario pubblico. In pratica all'interno di queste strutture private possono operare dei medici che sono alle dipendenze della sanità pubblica. Questo prevede una spesa per la mobilità dei sanitari. Le strutture convenzionate avevano aumentato da due a cinque anni i termini concessi per gli adeguamenti strutturali connessi alle procedure di autorizzazione. In netto contrasto con la normativa nazionale. Ancora, per la Regione Basilicata, queste strutture sanitarie private avrebbero dovuto ultimare i lavori del piano di adeguamento entro tre anni dal parere della commissione tecnica aziendale. E quelle che avevano ricevuto il parere entro il 2017 avrebbero dovuto "ultimare i relativi lavori entro il termine di anni tre decorrenti dall’entrata in vigore della presente legge", entro, cioè, il 2021.

La Corte, però, ha sottolineato che le Regioni in materia di autorizzazione e vigilanza sulle istituzioni sanitarie private devono attenersi ai principi delle norme statali. Invece, le norme messe in pratica dalla Regione Basilicata "consentono alle strutture (private) di operare a prescindere dalla conclusione della verifica circa l’adeguatezza della struttura stessa". Al contrario la normativa nazionale sancisce che "l’esercizio dell’attività sanitaria avvenga previa verifica del possesso dei requisiti minimi".

Ancora, un'altra normativa regionale enunciava che le strutture sociosanitarie già attive e operanti dovevano presentare, entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge, una domanda di autorizzazione per poter continuare a svolgere l’attività sanitaria. Invece una norma nazionale dice che l’autorizzazione all’esercizio deve seguire l’accertamento dei requisiti e, anche in questo caso, riconosciuta come fondata dai giudici costituzionali. La Regione autorizzava "le asl a stipulare contratti o convenzioni di durata non superiore a diciotto mesi con le strutture sociosanitarie provvisoriamente accreditate".

Per quanto concerne i privati e i medici del servizio sanitario nazionale era prevista la possibilità, per le strutture sanitarie private accreditate, di avvalersi «dell’opera di medici in rapporto esclusivo con il Servizio sanitario nazionale, sempre che questa rientri nell’ambito di accordi e/o protocolli di intesa stipulati con le Aziende del Servizio sanitario regionale di dipendenza». Una norma che, come ha sottolineato il Governo centrale, sempre come si legge sulla Gazzetta, violava "il principio di unicità del rapporto di lavoro del personale medico con il sistema sanitario nazonale" sancito dalle leggi nazionali.

Per quanto riguarda, infine, la mobilità sanitaria interregionale attiva, la Basilicata aveva previsto che non dovessero essere applicati i tetti di spesa per alcuni tipi di prestazione (come per esempio le attività di specialistica ambulatoriale, le prestazioni trasferite da regime ospedaliero a regime ambulatoriale e quelle considerabili salva-vita definite critiche dal Piano nazionale di governo delle liste di attesa per il triennio 2010-2012).

Una legge che, durante il suo periodo di applicazione (è stata successivamente abrogata dalla stessa Regione), potrebbe aver violato i limiti della competenza legislativa regionale e i principi del contenimento della spesa pubblica.

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