Potrebbe essere la volta buona. La proposta di legge sulla regolamentazione della prostituzione che il Senato inizierà ad esaminare nelle prossime settimane ha le carte in regola per arrivare al traguardo. A cominciare da un ampio sostegno bipartisan: la prima firmataria è Maria Spilabotte del Pd e il testo è condiviso da parlamentari di Forza Italia, Cinque Stelle e Scelta Civica. Così, dopo quasi 60 anni, la legge Merlin, che abolì le case chiuse (in Italia erano 560) e istituì il reato di favoreggiamento della prostituzione, potrebbe essere avviata alla pensione. Il testo in discussione segna, rispetto alla situazione attuale, una svolta rivoluzionaria. I punti di maggiore novità sono almeno tre. In primo luogo le lavoratrici del sesso potranno affittare locali alla luce del sole (senza conseguenze giudiziarie per il proprietario dei locali, come accade oggi). Sia pure in versione riveduta e corretta e sotto forma cooperativa, sarebbe la riapertura delle case chiuse. I sindaci avranno poi la facoltà di istituire delle «zone rosse» dove concentrare l'esercizio della professione. Infine, le aspiranti prostitute dovranno chiedere un'autorizzazione alla Camera di Commercio con l'obbligo di presentare ogni sei mesi un certificato di idoneità psicologica. È probabilmente questo uno dei punti di maggior delicatezza della proposta.
Proprio l'obbligo di registrare l'esercizio di una professione «stigmatizzante» si è rivelato in altri Paesi il maggior ostacolo alla regolamentazione del settore. E proprio le esperienze straniere dimostrano la difficoltà di ogni intervento legislativo. Il primo esempio (vedi anche articoli in pagina) è quello tedesco, ispirato al criterio della liberalizzazione, con l'obiettivo di far emergere alla legalità il fenomeno e di chiudere così la porta ad abusi e sfruttamento. All'estremo opposto il modello svedese che prevede la repressione penale della prostituzione, con la condanna, anche al carcere, del cliente e il sostegno dei servizi sociali alla donna che si prostituisce. Nessuno dei due sembra però perfetto. Secondo gli esperti la legge tedesca ha sì portato all'emersione del fenomeno ma si è dimostrata poco efficace nel combattere lo sfruttamento. Il modello svedese invece, al di là delle perplessità che potremmo definire «libertarie» su una decisione, quella di vendere il proprio corpo, che può essere frutto di una libera scelta, appare difficilmente esportabile.
Anche se di recente ha ispirato le scelte legislative di Paesi come Norvegia e Islanda e suscitato interesse in Gran Bretagna e Francia. L'anno scorso perfino il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione per chiedere ai singoli Paesi di ispirare le proprie scelte legislative alla Svezia, con la punizione del cliente e la tutela della donna.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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