Cronache

Se la patria del Moscato diventa terra di lavoro nero

A Canelli, in provincia di Asti, "i braccianti vengono assunti per un periodo di tempo determinato e poi, da contratto, gli vengono riconosciute 4 o 5 giornate di lavoro quando magari ne hanno fatte 30"

Se la patria del Moscato diventa terra di lavoro nero

Per alcuni è la patria del Moscato e dello spumante, per altri è una meta da raggiungere e una garanzia di lavoro, almeno in questa stagione. Canelli, in provincia di Asti, è tutto questo: una città fatta di contrasti. Fino all'anno scorso, di questi tempi, alla mattina presto si poteva assistere al ritorno dei trattori coi rimorchi carichi di uve da scaricare nelle grandi aziende vinicole e alla partenza sui furgoni dei braccianti per la vendemmia. Il “mercato umano” di piazza Unione Europea lo chiamavano: centinaia di lavoratori bulgari, romeni e macedoni smistati dai “caporali” delle cooperative nelle varie direzioni. Oggi qualcosa è cambiato, anche se di poco: i controlli della Guardia di Finanza – che hanno già riscontrato diverse irregolarità riconducibili al reato di caporalato – fanno paura e le cooperative sono state costrette a moltiplicare i punti di raccolta dei lavoratori per dare meno nell'occhio. Tutti, a parole, professano di far firmare contratti regolari pagando regolari contributi, ma poi a seconda della disponibilità e delle necessità del cliente si abbassano le richieste: si parte dai 1000 euro all'ettaro delle 6.30 ai 600 delle 8 e a tutto il resto pensa la cooperativa che fornisce la manodopera e anche chi la controlla. È un "lavoro grigio, non nero", come lo definisce Paolo Capra, segretario della Flai­Cgil di Asti.

"I braccianti vengono assunti per un periodo di tempo determinato e poi, da contratto, gli vengono riconosciute 4 o 5 giornate di lavoro quando magari ne hanno fatte 30". Ma non è cambiato solo il modo di fare delle cooperative, è cambiato anche quello dei lavoratori. Una volta giungevano nell'Astigiano con pullman e viaggi organizzati per bivaccare poi nelle piazze della città fino alla fine del periodo della vendemmia. Oggi, che un ordinanza del sindaco Marco Gabusi lo ha espressamente vietato, hanno dovuto trovare sistemi alternativi. Ai confini della città, subito dietro i supermercati del Lidl e dell'Eurospin, è sorto un vero e proprio accampamento in riva al fiume Belbo. Tende, materassi, pancali gettati a terra che si trasformerano in letto la notte e poi confezioni vuote di pasta Barilla, panni stesi ad asciugare al sole, un calendario che indica i giorni di lavoro pattuiti e persino un'icona ortodossa sopra un'altare improvvisato. Qui, tra zanzare e rottami, vengono a dormire una decina di persone di ritorno dalla vendemmia e qui è venuto anche Boris, appena arrivato con un autobus dalla Macedonia. Secondo lui però questo accampamento non dice nulla: i veri dormitori sono altrove. Cascine diroccate, nascoste dal fitto della vegetazione nelle campagne poco fuori Canelli, che i contadini affittano in nero ai “caporali” delle cooperative, e che questi, a loro volta, affittano ai braccianti per 150/200 euro al mese a posto letto. Una di queste cascine­dormitorio si trova sulla strada che porta al piccolo paese di Moasca e i proprietari per renderla inaccessibile hanno addirittura scavato un fossato intorno alla proprietà. Dentro c'è di tutto: carcasse di macchine abbandonate nel cortile, fienili usati come bagni e discariche, topi che banchettano con i resti della cena di qualcuno. Il primo piano è un gigantesco alveare: quattro stanze con sei, sette, otto letti ciascuna – in alcune si fa addirittura fatica a entrare – e vicino ad ogni letto un piccolo fagotto con gli oggetti del proprietario.

Una caffettiera poggiata sopra una tanica di benzina racconta di come inizia una giornata qualunque di un bracciante della vendemmia.

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