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Se la sagra della patata diventa "hot": "La faremo provare in ogni modo"

A Canale Monterano una sagra davvero singolare. E gli organizzatori promettono la "patata di primo sole"

Se la sagra della patata diventa "hot": "La faremo provare in ogni modo"

Prima sagra della patata a Canale Monterano. Sì, gli organizzatori giurano di “farla provare in ogni modo”. Si passa da un menu classico, con la “patata di primo sole” (carbonara, chiamiamola così, di patate e funghi porcini) a proposte più “spinte”, come la patata fritta “con pelo”, “senza pelo” o “arruffata”. Insomma, se Cetto La Qualunque, alias Antonio Albanese in “Qualunquemente” prometteva in campagna elettorale “Più pilu per tutti” la Pro Loco di Canale Monterano, paesino di 4mila e 200 anime tra Tolfa e Manziana, in provincia di Roma, si spinge oltre e assicura una tre giorni di patata a volontà.

Non mancano le polemiche on line: da una parte chi accusa i Canalesi di essere “sessisti” e di fare battute da caserma, dall’altra chi invoca la par condicio e propone sagre altrettanto “pittoresche” a base di zucchine, pannocchie e chi più ne ha più ne metta. Sarà forse l’atmosfera goliardica tramandata dal loro antenato il Marchese del Grillo, proprietario terriero e custode di beni pontifici proprio nel territorio dell’antica Monterano, sarà la leggendaria fama degli abitanti, considerati dal circondario “sopra le righe”, fatto sta che l’idea della patata in tutte le salse è diventata un tormentone.

Del resto a Canale Monterano, durante l’estate, è “tutta una sagra”, con prodotti, manco a dirlo, nient’affatto locali. Tanto che sui social c’è chi accusa le amministrazioni comunali di chiudere più di un occhio sulle organizzazioni no profit e sulle associazioni culturali che, grazie al termine sagra, incassano migliaia di euro senza pagare occupazione di suolo pubblico, pulizia straordinaria di strade e piazze, tasse allo Stato.

Vecchia storia che coinvolge da oltre un decennio centinaia di paesi in tutt’Italia. Fra gli esempi sempre della zona la oramai famigerata sagra del baccalà a Tuscania, meraviglioso paese arroccato nel viterbese e ben lontano dal mare, che conta cifre da record: 4mila coperti in tre giorni e 80mila euro di ricavato esentasse. Oppure la “sagra del calamaro gigante” di Manziana, altro paesino agreste fra i Monti Cimini e il lago di Bracciano, poi trasformata in “sagra del calamaro fritto” dopo le proteste per le dimensioni tutt’altro che sorprendenti dei molluschi venduti a prezzi stellati.

“Una trovata geniale”, quella della “patata”, per Gabriele, utente facebook. “Una comunicazione vincente fondamentale nel marketing moderno” sempre per la stessa persona che scatena reazioni al vetriolo da parte di utenti di entrambi i sessi. “Peccato il doppio senso scritto e disegnato. Non ce n’era bisogno, davvero” risponde Orietta. Per i commercianti questa delle sagre è soprattutto una concorrenza sleale. A base di cibi spesso scadenti, cuochi improvvisati, prodotti importati. Come i funghi porcini coltivati in Slovenia.

“Una guerra impari - tuonava il presidente provinciale dei pubblici esercizi di Siena, Gaetano de Martino - fra associazioni no profit che non rilasciano scontrini e fatture e professionisti della ristorazione. Le iniziative proliferano e il legame con il territorio è sempre più debole”. Se non assente.

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