Donald Trump

Una sfida contro tutti

Trump è stato semplicemente Donald Trump. Diretto, chiaro, partigiano. Nessun cambio di strategia e di tono: è stato un discorso ultra-autarchico

Una sfida contro tutti

Trump non è stato il presidente Trump, è stato semplicemente Donald Trump. Diretto, chiaro, partigiano. Chi aveva previsto un cambio di strategia e di tono si è sbagliato clamorosamente: è stato un discorso ultra-autarchico. America First è lo slogan che rimane senza soluzione di continuità tra la campagna elettorale e l'inizio della sua amministrazione. Protezionista e isolazionista sono i giudizi che molti stanno dando in queste ore. Un pezzo d'America, e non solo quella definita «rurale» e «profonda», è da sempre convinta che la supremazia americana esista solo con un Paese concentrato prima su se stesso che sul mondo. E senza scomodare troppo la storia e paragoni strani, la dottrina Monroe era chiaramente una cosa molto simile a questo, oltre che l'inizio dell'idea stessa di protezionismo e isolazionismo. La differenza è che all'epoca quelle erano idee di un uomo colto e raffinato, mentre adesso sono considerate la reazione frustrata e ignorante di un uomo becero che si trascina elettori beceri. E questo è imperdonabile, per il semplice fatto che è esattamente questa presunta superiorità dell'establishment che ha contribuito a produrre il fenomeno Trump.

Il presidente è rimasto candidato. Si scommette su quando sarà il momento in cui cambierà, anche se adesso, dopo il discorso di insediamento, è chiaro a molti che questa prospettiva si allontana. È stato un discorso semplice, rivolto essenzialmente a due pubblici: quello interno americano e quello del governo cinese, considerato il vero nemico degli Stati Uniti. Ecco, tutto quello che c'è oltre questi due pilastri non esiste. O meglio: esiste se subordinato all'America. È preoccupante per noi europei che non siamo mai stati abituati a vivere senza l'alleato americano e dovremo fare i conti con la nostra irrilevanza. Trump ha dichiarato una guerra senza quartiere all'estremismo islamico e l'ha fatto per gli americani, con l'idea che così saranno finalmente sicuri. Protetti dalla minaccia esterna e confortevoli nei loro posti di lavoro creati da un'America capace di rinnovarsi ogni volta e di avere dentro di sé le risorse per autoalimentare la sua grandezza. Guardare il suo discorso in diretta provoca due emozioni: 1) a prescindere da quello che si pensi, gli Stati Uniti sono la più importante, autorevole e incredibile democrazia del pianeta, che organizza insediamenti di presidenti quasi fossero monarchi, ma resta libera, forte, solida, convinta di poter rinascere. 2) Trump sarà un presidente al quale dovremo abituarci noi, perché non cambierà, quantomeno non ora. E dovranno abituarsi soprattutto i leader internazionali (presidenti, premier, governatori centrali ecc.), perché è con lui che bisognerà fare i conti da ora in poi. America First è l'orgoglio di un Paese che negli ultimi mesi in troppi non hanno capito: lo stupore per l'elezione del magnate non si è esaurita neanche ieri, quando si è tramutato in realtà l'incubo di molti, ovvero vederlo entrare alla Casa Bianca. Dopo l'insediamento l'altro errore che rischiano di fare in troppi è continuare a non capire che questa cosa è vera, concreta e che non c'è modo di cambiarla. Le proteste come quella dei «no borders» non fanno altro che rafforzare Trump e renderlo più simpatico anche a coloro che fino a oggi erano scettici. Sarà un mondo diverso? Sicuramente sì. Per molti è cominciata una rivoluzione. Più giusto chiamarla sfida, come è stata da sempre la sua avventura politica.

A tutti, praticamente senza esclusione.

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