Cronache

Siamo tutti quell'anziano preso a calci

La chiamano violenza cieca, ma non so, a me pare, come la sfiga in una famosa vignetta di Lupo Alberto, che ci veda benissimo, nel senso che individua le sue vittime con precisione

Siamo tutti quell'anziano preso a calci

La chiamano violenza cieca, ma non so, a me pare, come la sfiga in una famosa vignetta di Lupo Alberto, che ci veda benissimo, nel senso che individua le sue vittime con precisione, non le sceglie a caso, non è che si abbatta, per dire, su un energumeno di due metri con le spalle di LeBron James, no, si concentra sempre, da meschina qual è, sulla vittima più debole. L'elenco, nella cronaca degli ultimi giorni, è chiaro quanto disarmante: il ragazzo con la faccia che più da bravo non si può, Willy, massacrato a Colleferro; la giovane che stava tornando a casa fra i grattacieli della Milano così contemporanea di piazza Gae Aulenti; don Roberto, il prete buono, ucciso da uno di quelli che aiutava da una vita; l'anziano preso a calci e pugni lunedì pomeriggio a Vicenza, colpevole di avere interferito mentre un uomo aggrediva una donna, la fidanzata, si è poi scoperto. L'uomo, venticinque anni, italiano di origine ungherese, «senza fissa dimora», stava litigando nel piazzale del mercato, ma non si limitava alle parole, e cercava di avere la meglio (la violenza, come chi la perpetra, vuole sempre avere la meglio), mettendo le mani al collo della ragazza; così un altro uomo, anche se chiamare entrambi uomini può sembrare ingiusto, e fuorviante sulla natura umana, e invece è proprio così, è proprio la nostra natura, il che è sconvolgente forse anche più della violenza stessa, insomma questo uomo, che verrebbe da definire «vero» per rendergli almeno un po' di onore, si è sentito in dovere di intervenire, anche se era da solo in quel piazzale, e lui aveva 73 anni, non certo l'età di quel giovane rabbioso. Il coraggio, diceva Don Abbondio, uno non se lo può dare, e Akar Alberto Fontanarosa, nonostante i suoi venticinque anni e la forma fisica, non se lo può dare; mentre questo settantatreenne ce l'ha, e non se lo è potuto togliere, neanche di fronte a una lotta chiaramente impari, che l'ha fatto finire in ospedale. Che poi, lui non è che volesse intervenire con la forza, si è solo avvicinato al ragazzo con cortesia; ma l'altro ha reagito tirandogli un pugno che l'ha scaraventato a terra e poi ha infierito su quel corpo anziano, già accasciato, con una serie di calci furiosi. Non c'è alcuna esagerazione in questa descrizione, basta guardare il video girato da una finestra (grazie al quale il giovane è stato fermato poco dopo), con una accortezza: le immagini sono «sconsigliate a un pubblico sensibile». Perché tanta violenza? Perché quell'uomo, più anziano di lui, ha «osato» dirgli «come doveva comportarsi»? Perché ha fermato la rabbia contro la fidanzata e, quindi, doveva sfogarsi in altro modo? Sul fatto che il gesto del giovane violento abbia destato scandalo, non c'è dubbio; sul fatto che il gesto dell'anziano coraggioso abbia stimolato l'esempio, invece, ce n'è qualcuno di più. Un comitato ha prontamente chiesto pene certe, invocando, in alternativa, la «giustizia fai da te».

Dove per giustizia non si intende giustizia, si intende sempre violenza.

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