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La sinistra che odia chi lavora

Michele Serra non ti stupisce. È sdraiato sull'amaca, con le gambe in alto, a piedi nudi, con una specie di pigiama, una biro in mano e nell'altra un quadernetto senza righe dove prende appunti

La sinistra che odia chi lavora

Michele Serra non ti stupisce. È sdraiato sull'amaca, con le gambe in alto, a piedi nudi, con una specie di pigiama, una biro in mano e nell'altra un quadernetto senza righe dove prende appunti. Non ha una dimensione e vive con un certo distacco gli affanni della terra. Nessuna invidia, in qualche modo tutto questo deve esserselo meritato. È, per vocazione, uno sfastidiato. È un sentimento molto utile durante la pandemia. Tiene lontano il prossimo, molto più di un metro. Non è questione di cuore, ma di testa. Serra riconosce solo quelli che gli assomigliano e sono una rassegnata minoranza. Il mondo non è come lo avevano sognato: c'è ancora troppa pietas per i maledetti bottegai. Il pregio di Serra è che scrive quello che altri come lui, della stessa schiatta, pensano ma non hanno il coraggio di dire in pubblico.

Il fastidio è cominciato quando Serra, e gli altri, hanno sentito un rumore di fondo.

- Ma che vogliono questi?

- Questi chi?

- Questi che pretendono ristori, rimborsi e soccorsi vari.

- Si lamentano.

- Sempre a lamentarsi. Soldi, soldi, sempre soldi. Si abbuffano e non si accontentano mai. Qualcuno ha mai risarcito i nostri nonni o i nonni dei nonni? Ve lo dico io: zero risarcimenti e un sospiro di sollievo se si era ancora vivi e con un po' di pane in dispensa.

- Che poi sono tutti evasori.

- Appunto, zitti e chiusi.

Michele Serra, di professione sdegnato, ha trovato l'idea per la rubrica su Repubblica. «Chi ha risarcito i nostri antenati?». È il titolo e poi l'affondo: «Pretendere che tutto quello che è stato perduto a causa della pandemia ora piova dal cielo è abbastanza protervo e parimenti sciocco: la sfiga esiste, per dirla in parole povere eppure ricche di significato. Esiste per tutti, esiste da sempre, così come non esiste il diritto alla fortuna, alla ricchezza, al reddito invariato nei secoli». Non è però solo sfiga, c'è anche la colpa. Quelli che adesso si lamentano sono notoriamente evasori. È noto, si sa. Ce lo hanno scritto in faccia. L'evasione, per Serra, è un reato di classe. Classe indegna. «Avessero almeno l'eleganza di fare finta di niente, sarebbe meglio».

Ora si potrebbe rispondere a Serra che quella che lui chiama sfiga è un decreto. Non è una maledizione divina contro i peccatori. È lo Stato che chiude negozi, laboratori e ogni attività per tutelare la salute di tutti, perfino la sua. Tutto questo però a Serra non importa. Non vede la fatica e neppure i lavori che si perderanno. Non vede la miseria. Non serve allora replicare a Serra. È inutile. Serra è quello che scrive. Serra è nudo.

È l'autobiografia di chi sta sull'amaca.

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