Cronache

"Sono un guerrigliero del Mend". Ma i giudici danno asilo al migrante

La richiesta di protezione umanitaria di un nigeriano accolta dalla Corte di Appello. Ma era stata respinta per tre volte

Militari nella zona di un oleodotto esploso a Lagos, in Nigeria
Militari nella zona di un oleodotto esploso a Lagos, in Nigeria

Che vuoi che sia. Sebbene si tratti di un ex "guerrigliero del Mend" (gruppo armato nigeriano dedito ad assalti, sequestri e attentati), il migrante merita comunque di rimanere in Italia. E questo nonostante per ben due volte la Commissione territoriale per il diritto d'asilo abbia rigettato la richiesta. E nonostante il giudice in primo grado concordi con l'idea che Hamin, nome di fantasia di un nigeriano 30enne, non abbia le carte in regola per ottenere un permesso di soggiorno.

Nel Belpaese, si sa, ciò che la Commissione territoriale toglie, un giudice dà: e così anche Hamin, come molti altri, ha trovato qualcuno disposto a concedergli protezione internazionale. La vicenda parte da molto lontano. Nel 2008 Hamin sbarca in Italia e come da protocollo presenta domanda di asilo, che viene valutata dalla Commissione nel giro di un annetto. Ad aprile del 2009 arriva il primo rigetto: niente documenti. Hamin però non se ne va, anzi: raddoppia. Qui trova lavoro, prima come addetto alle pulizie, poi come operaio, infine come facchino. Conosce una connazionale, hanno un figlio, si sposano. A agosto del 2013 allora ci riprova e chiede di nuovo allo Stato di accordargli una qualche forma di protezione.

I documenti che allega alla richiesta sono praticamente gli stessi della volta precedente. O almeno così li leggono sia la Commissione che il tribunale di primo grado, secondo cui non vi sono "elementi nuovi rispetto" al passato. Hamin ha ripetuto di "appartenere alla fazione dei guerriglieri del Mend e di temere ritorsioni da parte degli stessi", ma non è bastato: per il giudice in Nigeria non vi è una comprovata "situazione di generalizzata violenza", quindi il migrante "potrebbe rimpatriare". Fine della storia? Macché.

Breve parentesi. La sigla Mend sta per Movement for the Emancipation of the Niger Delta, cioè una organizzazione paramilitare che si batte per l'indipendenza del Delta del Niger ed è in guerra con il governo federale. Secondo quanto scriveva ilSole24ore, i guerriglieri accusano le autorità di privare l'etnia locale degli Ijaw dei proventi del petrolio. Nel mirino del Mend ci sono infatti pure le aziende petrolifere, in particolare la Shell, la Chevron e anche l'italiana Eni. Le azioni vanno dai rapimenti ai sabotaggi, passando per altri attacchi cruenti. Nel 2006 tra i sette ostaggi catturati in un raid contro una nave dell'Eni c'era anche un italiano. Lo stesso anno sono stati catturati altri nostri connazionali, altri quattro nel 2007. E nel 2012 i combattenti hanno colpito una pipeline del gruppo italiano a Clough Creek, nello Stato di Bayelsa. E sono solo pochi esempi.

Detto questo, torniamo ad Hamin. Dopo le tre porte sbattute in faccia, il nigeriano a maggio del 2018 si rivolge alla Corte di Appello di Trieste, prima sezione civile. L'obiettivo, tra le altre cose, è quello di ottenere l'agognata protezione umanitaria e il relativo permesso di soggiorno. Il ministero dell'Interno si oppone. Il procuratore generale dà parere negativo. Ma i tre magistrati di Appello decidono diversamente.

Per la Corte, nel caso di Hamin va comparato il "grado di integrazione" raggiunto in Italia con "la situazione soggettiva e oggettiva" in Nigeria. Secondo una sentenza della Cassazione, infatti, un immigrato che, in attesa delle procedure, ricorsi e appelli vari, si integra nel tessuto sociale del Paese ospitante, merita un trattamento di riguardo: prima di rispedirlo indietro, bisogna valutare se il rimpatrio può "determinare la privazione della titolarità e dell'esercizio dei diritti umani" in "correlazione con la situazione di integrazione raggiunta" in Italia. Tradotto: se qui vive, lavora e magari ha famiglia, mentre in Nigeria dovrebbe ricominciare d'accapo, allora può ottenere la protezione umanitaria, forma di accoglienza spesso abusata e che i dl Salvini avevano abolito. Per Hamin, quindi, "il rimpatrio in una zona caratterizzata da insicurezza, forti tensioni politiche e sociali, rilevante inquinamento ambientale e alto tasso di disoccupazione", e dove Hamin "non ha lavoro né la possibilità di assolvere ai propri obblighi alimentari nei confronti del figlio", determinerebbe "la privazione della titolarità dell'esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale".

Dunque benvenuto in Italia all'ex guerrigliero del Mend.

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