Spagna, arrestato latitante Pellegrinetti, della nuova Banda della Magliana

Ricercato da più di 15 anni, Fausto Pellegrinetti (76 anni) è condannato a 13 anni per narcotraffico. Fa parte della nuova banda della Magliana

Spagna, arrestato latitante Pellegrinetti, della nuova Banda della Magliana

Preso. Catturato in Spagna il boss dei boss. Fausto Pellegrinetti, 76 anni, latitante dal 2002 deve scontare una pena di 13 anni per narcotraffico. Era scomparso nel nulla all’indomani dell’uccisione del suo braccio destro, Lillo Rosario Lauricella, palermitano doc, numero uno del riciclaggio di denaro in Corsica e in Sud America. Ci sono voluti due anni agli uomini della squadra mobile romana, assieme ai colleghi della polizia nazionale spagnola, l’Udyco Central e l’Udyco Malaga, per rintracciare Pellegrinetti ad Alicante. Personaggio di spessore nell’ambito della malavita organizzata della capitale e non solo. Un criminale dalle mille identità. Enrico Longo, Franco Pennello, Giulio Dedonese: questi sono solo alcuni degli alias che gli hanno permesso una latitanza “serena” nel sud della Spagna. Non il primo nemmeno l’ultimo: da sempre rifugio dorato per boss del calibro di Pasquale Cuntrera, alla macchia in quel di Fuengirola dopo esser stato scarcerato in Italia per un cavillo giudiziario.

La penisola iberica è anche un importante asse di collegamento per le rotte del narcotraffico. Pellegrinetti, considerato l’unico fiduciario dei “marsigliesi” nel Belpaese e braccato dalla polizia di tutto il mondo, all’indomani del Giubileo 2000 attende un carico da 5mila chili (cinquemila chili) di cocaina purissima proveniente dalla Colombia quando una task force di 007 spagnoli e italiani lo intercetta al largo delle coste tirreniche. Passata indisturbata nel mar Mediterraneo, la cocaina avrebbe dovuto invadere le piazze di mezz’Europa per almeno un anno. Un sequestro che mette letteralmente ko le finanze di Pellegrinetti e soci, tanto che per un po’ di tempo il boss decide di cambiare aria. E di svernare tra Caracas e Alicante dove continua, da latitante, a fare affari. Almeno fino all’uccisione del suo braccio destro, Lauricella appunto. Rosario, “Lillo” per gli amici, uomo dai mille volti originario di Palermo, trasferito per anni a Ostia dove stabilisce una base da affiancare al clan Cuntrera-Caruana, quando viene ucciso ha un passaporto intestato a un fantomatico Claudio Liverani. Nuovo volto scolpito da un chirurgo plastico di Miami, nuova identità. Ma quando un’auto affianca il taxi che dall’aeroporto venezuelano lo sta portando al suo covo di Caracas i killer lo riconoscono. Viene ucciso con sei colpi di calibro 38, Lauricella. Omicidio eccellente che mette il pepe alla coda di Pellegrinetti e di tutti gli affiliati alla banda della Magliana che grazie ai proventi delle slot machines gestite in America Latina (almeno 20mila i videopoker controllati nei casinò venezuelani e brasiliani dalla vittima) finanziano carichi da capogiro di polvere bianca. Lauricella, tanto per non farsi mancare nulla, compare anche in un’inchiesta della magistratura corsa aperta nella primavera del 2001 sul sospetto che la mafia siciliana e ambienti nazionalisti corsi riciclino il denaro proveniente dal narcotraffico nei resorts dell’isola di Cavallo, al largo della Corsica, trasformata in un paradiso per miliardari.

Ma è la magistratura brasiliana a cercare prove che lo inchiodano per il lavaggio di dollari sporchi attraverso il bingo elettronico, il fenomeno carioca del momento, in cui sarebbero coinvolti persino il ministro dello sport e turismo e un imprenditore spagnolo socio, in Brasile, di Lauricella. “Malocchio” è l’operazione in codice che gli inquirenti italiani conducono, contemporaneamente, su video-pocker e narcos. Fra i principali imputati proprio “Lillo” Lauricella e Pellegrinetti. A rompere definitivamente ogni equilibrio, tre settimane dopo l’omicidio Lauricella, l’agguato mortale, il 21 novembre 2002, a Michele Settanni, 53 anni, massacrato di proiettili a un semaforo sulla via Appia, a Ciampino, mentre torna a casa. Settanni era presente a una cena a Fiumicino fra capiclan. Assieme a lui Paolo Frau, ucciso a Ostia Lido a pochi giorni di distanza da due killer in moto. Frau, motociclista dell’attentato a Roberto Rosone, numero due dell’Ambrosiano di Calvi, era appena uscito di galera dopo aver scontato la condanna inflitta al maxi processo del ’93 alla banda della Magliana. Anche lui bersaglio dei nuovi boss. Chi è stato a tradirli? Pellegrinetti è stato catturato domenica pomeriggio all’interno di un lussuoso attico in via Paseo del Pintor Fernando Soria 9, nel centro di Alicante.

A mettergli le manette gli uomini migliori della VII sezione narcotici della squadra mobile di Roma, dello SCO e della polizia iberica. Il boss, disarmato, non ha opposto resistenza. Pellegrinetti, insomma, è considerato uno dei più potenti uomini della banda dei Marsigliesi. Per ben due anni i poliziotti hanno cercato di sfondare la rete di coperture che lo proteggeva, passando centinaia di ore in appostamenti e pedinamenti al cardiopalmo. Nel curriculum criminale di Pellegrinetti l’evasione, nell’ottobre del 1993 dalla clinica romana “Belvedere Mondello”, dove era ricoverato. Fra i capi di imputazione l’acquisto di 550 chili di cocaina e il riciclaggio di sei miliardi di lire, quasi tre milioni di euro di oggi, provenienti dal narcotraffico. Pellegrinetti è stato legato alla banda delle tre B, ovvero ai marsigliesi di Jacques Berenguer, Albert Bergamelli e Maffeo “Lino” Bellicini, attivi tra l’Italia e la Corsica negli anni ‘70 e ‘80. Una vita fatta di fughe, arresti, latitanze: nel 1977, a 35 anni, viene catturato in un residence sulla via Aurelia. Nel 1980, con il suo gruppo del Tufello, incontra in un ristorante di Trastevere i capi della banda della Magliana: Danilo Abbruciati, il “Camaleonte”, Edoardo Toscano, l’Operaietto e Antonio Mancini, l’Accattone, per dividersi il territorio. Soprattutto per pianificare rapine, sequestri di persona ed estorsioni legate al toto nero, davanti a un piatto di “carbonara”. Nell’incontro viene decisa anche l’eliminazione del giudice Ferdinando Imposimato, recentemente scomparso. Azione poi accantonata secondo il pentito della Magliana Antonio Mancini.

Nel 1992 consuma la sua latitanza in un appartamento di via Roccaraso, a Roma. La Dea americana, seguendo il flusso di denaro tra Nord America, Europa e Colombia, arriva a lui incastrandolo. In casa un milione e mezzo di dollari in contanti. Ma è con l’operazione “Malocchio” del 1998 che gli inquirenti scardinano un vero e proprio import-export di cocaina e riciclaggio di denaro: cinquemila i chili di coca smerciati solo a Roma e ben 55 milioni di dollari immessi in varie attività di “lavanderia”. A capo dell’organizzazione, manco a dirlo, Pellegrinetti. Suo collaboratore Primo Ferrarese, con il quale stringe alleanze pericolose, come con le famiglie calabresi Barbaro-Papalia, o con camorristi di rango, appartenenti al clan Senese.

Immettendo sul mercato capitali provenienti da traffici illeciti, privi di costi, l’organizzazione produce effetti dannosi all’economia legale in vari settori commerciali alterando i prezzi dei prodotti (metalli e frutta), inserendosi in settori ad alto rischio, ovvero in quello delle “slot machine”. Ai suoi nemici basta eliminare il reggente delle slot, Lauricella, per mettere in crisi il sistema.

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