
Dalle grandi economie europee arrivano sempre più spesso dati economici più brutti di quelli italiani. Ultimi quelli di ieri dalla Germania, con un'inflazione al 2,4% peggiore delle stime del 2,1%, e con un tasso di disoccupazione fermo al 6,3%, ma con 14mila tedeschi senza lavoro in più. Il Paese è alle prese con una crescita che nel 2025 sarà uguale a zero. La Francia non sta meglio, soprattutto sul fronte dei conti pubblici, con deficit e debito in forte crescita. Mentre in Inghilterra il premier Keir Starmer è impegnato proprio in queste ore nel congresso laburista a trovare argomenti per rilanciare l'economia (ha la peggiore inflazione del G7 e, nonostante i tagli sociali, ha portato il debito al 100% del Pil) e arginare l'avanzata della destra del Reform UK di Nigel Farage. In questo contesto, l'Italia, abituata da lustri a stare nelle retrovie delle classifiche macroeconomiche, ha trovato una buona velocità di crociera. Lo dice il mercato, giudice imparziale, con lo spread, che esprime la differenza di rendimento tra i titoli decennali del debito italiano e quelli tedeschi: ieri un Btp rendeva come un Oat francese e solo 84 punti in più del Bund tedesco. Tre anni fa, prima delle elezioni politiche del 2022, lo spread Btp-Bund era più alto di 160/170 punti, quello con gli Oat di 40 punti.
Miracolo Meloni? Pensarla in questi termini sarebbe sbagliato e pericoloso, perché la strada è assai lunga. Ma ancora più sbagliato è non riconoscere i meriti di questo esecutivo che, alla vigilia del suo insediamento, evocava non poche paure per un'altra stagione di crisi finanziaria. D'altra parte, i problemi economici italiani vengono da lontano. E nessun governo può oggi onestamente promettere di affrontare temi quali salari bassi, produttività ferma, consumi stagnanti, caro alimentare, per tacere del trend demografico che pesa su sanità e pensioni. Non esiste una manovra finanziaria capace di scalare questa montagna. Servono, semmai, due o tre legislature. E due condizioni: la prima è la stabilità politica; la seconda è la disciplina finanziaria. Quando il mercato riconosce queste due qualità in un Paese che si finanzia ogni mese sul mercato, allora riconosce anche, a governo di quel Paese, fiducia e affidabilità. Ed è quello a cui lavora la premier Meloni, in tandem con il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti.
Sono stabilità e disciplina che, oggi in Europa, ci mettono davanti a Francia e Inghilterra, nonostante il nostro debito, al 137,9% del Pil, il più alto di tutti: la Francia è a 115,6%; l'Inghilterra sopra il 100%. Quello che conta è la tendenza. Secondo il Fiscal Monitor del Fondo Monetario Internazionale, di qui al 2030 il rapporto debito-Pil aumenterà in Francia di 30 punti percentuali, di 20 in Uk, di soli 3,9 in Italia. Persino la Germania, tornata a fare debito dopo decenni, crescerà di più, del 16%. Un tale trend si riflette nella spesa per interessi, che già nel 2024 è cresciuta in Italia del 3,2%, meno di Germania (+6,6%) e Francia (+22%).
A ben guardare, una misura come lo spread e un soggetto quale l'Fmi sono tra gli stessi protagonisti della crisi del 2011.
Quindi, se quella storia di crisi era vera allora, anche questa rinnovata fiducia nel Paese lo deve essere oggi.È in questa chiave che il merito deve legittimamente andare a chi oggi conduce governo e politica economica senza sbandare nella tenuta dei conti pubblici. E, soprattutto, senza avere tentazioni o cedimenti elettorali.