Un lampo. The horror, l'orrore, l'avrebbe definito Joseph Conrad che di bombaroli e anarchici se ne intendeva. A Firenze invece il botto assassino è stato seguito dal rintocco canonico di dichiarazioni di rito e poi da pacchi di articoli: tutti con Mario Vece, il poliziotto che ha perso una mano e un occhio mentre cercava di disinnescare l'ordigno piazzato davanti alla libreria di CasaPound.
Sì, siamo tutti con questo uomo che ha scelto una professione affascinante e difficilissima, sul filo sottile che separa, almeno per noi gente comune, il coraggio dalla temerarietà. Ma siamo in Italia, Paese dalla memoria corta che si indigna al mattino e dimentica al pomeriggio. E poi, diciamola tutta, questa storia cosi cupa si porta dietro un retrogusto anni Settanta. Chi ha confezionato il perfido pacco appartiene probabilmente al magma insurrezionalista, niente a che fare con la deriva dell'Isis, con il terrorismo islamista, con il conflitto a fuoco di Sesto San Giovanni, seguito fra squilli di tromba e prime pagine dai selfie in ospedale dell'agente ferito.
C'è il rischio, e anche qualcosa di più, che fra pochi giorni nessuno si ricordi più di questo artificiere che per tutta la vita porterà sulla sua carne i segni della devastazione.
Si sa, il tempo divora la cronaca, anche quella più nera e, insomma, non vorremmo assistere a indecorosi spettacoli già visti: in Italia ci sono poliziotti e carabinieri che hanno dovuto alzare la voce per vedere riconosciuti i loro sacrosanti diritti, in Italia c'è sempre una coltre di ottusità burocratica che complica le pratiche, allontana sul calendario una pensione di invalidità, costringe a controlli umilianti. In Italia c'è purtroppo una patina di feroce menefreghismo che costringe anche gli eroi a ricorrere al Tar o a riempire fogli di carta bollata.
Non solo: la nostra storia ci insegna che questo Stato troppo spesso ha capovolto valori, scale gerarchiche e buonsenso; siamo l'unico Paese al mondo che ha mandato le medaglie, anche quelle alla memoria, per posta.
In buste che trasudavano ipocrisia e viltà.
Speriamo di avere voltato pagina una volta per tutte: senza retorica ma con orgoglio siamo con Vece, con sua moglie, con le due figlie che dovranno convivere con una realtà molto più ostica. Per loro chiediamo una corsia preferenziale, borse di studio, aiuti concreti e tutto quello che serve per trasformare strette di mano formali in un abbraccio affettuoso e in un'adozione corale.
Non possiamo pretendere dalle forze dell'ordine un supplemento di impegno nella guerra globale al terrore e poi archiviare come un dossier polveroso chi è letteralmente saltato sulla prima linea della difesa collettiva: dell'impegno per il bene comune e per garantire la nostra vita quotidiana, assediata da troppi nemici e da troppi fantasmi.
Non sarebbe serio, sarebbe un insulto alle
divise che ci proteggono, un'offesa irreparabile al sentire comune. La conferma, terribile, di un meccanismo perverso: dare il megafono ai carnefici, togliere la voce alle vittime. Ancora di più a chi rischia per tutti noi.
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