La storia inquinata

A volte si resta allibiti su come nel nostro Paese venga deviato il corso degli eventi

La storia inquinata

A volte si resta allibiti su come nel nostro Paese venga deviato il corso degli eventi. Due giorni fa, nella più completa noncuranza dei media, l'ex-ministro della Giustizia, Paola Severino, ha dato un'interpretazione esatta della legge che porta il suo nome, riconoscendo che, grazie a un intervento del compianto Antonio Catricalà, il testo fu modificato in extremis eliminando «un eccessivo automatismo» e «riconoscendo al Parlamento un pieno potere di valutazione» sulla decadenza e sulla incandidabilità dei parlamentari condannati con sentenza definitiva. Lo ha fatto a dieci anni dall'introduzione di quella norma, dimenticando che proprio la lettura che ne fu data all'inizio, e cioè che si trattasse di «un automatismo amministrativo» - negando, quindi, al Senato un potere giurisdizionale -, creò le condizioni per cui la decadenza di Silvio Berlusconi fosse votata a scrutinio palese. Trasformando, nei fatti, quel voto in un giudizio politico e non in un giudizio sulla persona, una fattispecie per la quale nel nostro Parlamento è sempre stato adottato il voto segreto. Inutile dire che in questo secondo caso il Cavaliere avrebbe avuto molte più chance di non decadere. Perché la Severino non ebbe il coraggio di dare l'esatta interpretazione della legge allora? Semplice, perché parlare a favore di Berlusconi a quei tempi sarebbe stato impopolare.

Quando si parla di Storia inquinata. Come la vicenda del lodo Alfano, che avrebbe evitato a Berlusconi la «via crucis» a cui è stato sottoposto nei tribunali di questo Paese: approvato dal Parlamento, firmato dall'allora Capo dello Stato Giorgio Napolitano, oggi Luca Palamara, all'epoca al vertice dell'Associazione Nazionale Magistrati, racconta nel libro-inchiesta firmato con Alessandro Sallusti, che fu bocciato dalla Corte Costituzionale con un intento squisitamente politico. L'obiettivo sempre lo stesso: far fuori Silvio Berlusconi. E il ricorso alla Consulta contro il lodo Alfano chi lo fece? Fabio De Pasquale, cioè il Pm che ha sulla coscienza il suicidio del Presidente dell'Eni, Gabriele Cagliari; che accusò Giorgio Strehler di truffa, portandolo a dire «mi dimetto da italiano»; e che oggi è sotto inchiesta per aver tentato di manipolare il processo sulle presunte tangenti Eni in Nigeria. A volte ritornano. Anzi, in Italia sempre.

Come la vicenda del conduttore di Report, Sigfrido Ranucci. In passato - durante i giorni infuocati della partita per il Quirinale - avevo paragonato un certo tipo di giornalismo ad OP, il settimanale di Mino Pecorelli che, negli anni '70, metteva nel mirino leader della politica del calibro di Amintore Fanfani e Aldo Moro con dossier di dubbia provenienza, che qualcuno faceva risalire ai servizi segreti «deviati». Ci avevo visto giusto. Oggi scopro che Ranucci - protagonista di una feroce campagna contro chi se non il Cav - ha scritto a due parlamentari della Commissione di Vigilanza per minacciarli, informandoli di aver ricevuto 78mila, dico 78mila, dossier. Gli strumenti più efficaci per inquinare la Storia di un Paese. Solo che Pecorelli non era un giornalista del servizio pubblico come Ranucci che è ancora lì. La decadenza dei tempi nell'Italia dei veleni.

P.s.

Visto che, secondo qualche organo di informazione, lo stesso Ranucci o qualche dossier, non so come, mi tirerebbero in ballo, informo che ho presentato querele, come querelerò tutti quelli che in un modo o nell'altro citassero il mio nome in riferimento alla vicenda in questione.

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