«Molti amici, molti guanti, per paura della rogna», scriveva Charles Baudelaire nei suoi Diari intimi. Lo penso ogni volta che do la mano a uno sconosciuto, e mi chiedo se non basterebbe un «salve», con un cenno. È il saluto fascista che ha ridato vigore alla stretta di mano. Non credevo, però, che per gli svizzeri la precauzione igienica potesse determinare un conflitto culturale. La convenzione della stretta di mano non è infatti prescritta dalla legge, ma è una consuetudine pressoché automatica. Soltanto la deliberata decisione di non porgere la mano a una persona che si disprezza assume un significato, se dichiarata. In altre occasioni, per marcare la differenza sociale o di classe: non si dà la mano a chi si considera inferiore, o la si dà perché qualcuno non si ritenga tale. Ma, attenzione: non si dà anche alle persone più care e più vicine: non si dà ai genitori, non si dà ai fratelli, non si dà ai migliori amici. Talora non si dà a preti e prelati, per«religioso» rispetto. Si dà, in compenso, agli estranei. Sappiamo che non si dà alle donne musulmane, e soprattutto loro sanno che non si dà a te. Per questa, non intenzionale, mancanza, a Losanna è stata negata la cittadinanza svizzera a una coppia di musulmani.
La reazione delle autorità è stata durissima: «La pratica religiosa non autorizza a porsi fuori della legge». Quale legge? Si può per legge imporre di mangiare maiale? Beh! Evidentemente gli svizzeri non leggono Baudelaire.
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