Cronache

Il Covid visto in ospedale Chi combatte in trincea

Tra la paura di tornare a casa, le allucinazioni per carenza di ossgieno, sono tante le storie di Covid dal reparto infettivi di Galatina

Il Covid visto in ospedale Chi combatte in trincea

Quando é uscita dal reparto di malattie infettive dove era ricoverata per il Covid-19, Maria non poteva non pensare a ciò che si lasciava alle spalle: tanti anziani che non riescono a sopportare la solitudine. Così una volta dimessa dal reparto infettivi del suo paese, Galatina, in provincia di Lecce, ha deciso di acquistare 15 televisori e donarli ai vecchietti dell'ospedale - come dice lei - per combattere la noia e sentirsi meno soli.

Lei ce l'ha fatta a vincere contro il Covid - 19 e sa che per chi non è in condizioni molto gravi, il tempo non passa mai. Si resta a letto con l'ossigeno, una, due settimane e si é completamente isolati. "Le uniche persone che vedono questi pazienti - dice un'infermiera degli infettivi dell'ospedale galatinese "Santa Caterina Novella" - siamo noi operatori e a volte non vedono l'ora di vederci per scambiare due parole."

E' chi sta male che ha una dimensione temporale diversa, per cui il tempo passa senza che ci si rende conto quando si sta lottando con la paura e la malattia. Come Paola, che non è riuscita a tornare a casa insieme al marito per la paura di soffocare. Arrivata con il suo Giuseppe, entrambi positivi, hanno diviso per settimane la stanza del reparto e non solo quella, anche la gioia di svegliarsi e ritrovarsi vivi o la paura di non farcela. "Il virus - ha riferito la donna - é arrivato a casa nostra, dopo un esame specialistico a cui si è sottoposto in ospedale mio marito Beppe." Dopo due settimane, i medici hanno deciso che, seppure positivi, i due potevano ritornare a casa e continuare la terapia lì, restando in quarantena.

Quando però sono arrivate le due ambulanze con le barelle biocontenitive, per trasportare la coppia a casa, la donna non ce l'ha fatta. Il marito è partito, lei invece ha tentennato. Chiedeva di poter aprire la sommità della barella, perchè si sentiva oppressa a entrare lì chiusa, sotto un telo trasparente. Dopo mezz'ora di trattativa con medici e infermieri, Paola é rimasta in ospedale. Solo dopo 24 ore, con l'aiuto di qualche goccia di sedativo, si è convinta a raggiungere il suo Giuseppe che l'aspettava a casa.

A casa invece non è più ritornata Graziella, sulla settantina. Giunta un mesetto fa da Bolzano, dopo un intervento alla mascella fatto al nord. Era riuscita a ritornare nel suo Salento, dove ha i figli, lasciando però nell'ospedale di Bressanone il compagno positivo, che l'aveva accompagnata per l'operazione. Una famiglia spezzata, che però ha visto l'umanità degli operatori sanitari quando sono riusciti a consegnare a Graziella, un biglietto affettuoso da parte dei figli. Erano preoccupati perchè non rispondeva mai al telefono, senza sapere che non sentiva e non riusciva a parlare. La donna è stata per lungo tempo con la c-pap, una sorta di maschera che avvolge tutto il viso, collegata alla macchina di ossigeno che, tramite una pompa eroga aria 24 su 24. Dalla mattina alla notte un rumore assordante, che non fa sentire nulla, non lascia dormire, nè mangiare e parlare, avendo sempre un tubo in bocca, attraverso il quale arriva 24 su 24, aria fredda nelle vie respiratorie, per giungere dritta dritta nei polmoni. La notte prima di lasciare questo mondo, Graziella non ce la faceva più a sopportare la c-pap, si è tolto tutto liberando il viso, con l'illusione di respirare meglio. Ha fatto giusto in tempo a prendere il biglietto che il medico le ha consegnato per conto dei figli, "non mollare mamma - c'era scritto - ti aspettiamo, anche Giorgio sta meglio e presto vi riabbracerete." E' morta serena di sapere che il suo compagno si stava riprendendo e che i suoi figli non l'avevano dimenticata.

A non dimenticarsi del suo Giovanni la moglie Anna, che ha chiesto tante volte ai medici e agli infermieri di fare una videochiamata. "Lui il telefono ce l'ha e vorrei chiamarlo, vederlo, potrebbe pensare - diceva Anna - che lo abbiamo dimenticato." I medici però hanno preso tempo, nella speranza che Giovanni si trovasse in uno stato meno confusionale. Il virus l'ha reso un po' "matto". I medici non sanno dire con precisione se é l'ossigeno che non arriva a sufficienza al cervello o il virus che addentrandosi direttamente nella zona neurologica, gli ha provocato delle alterazioni. Sta di fatto che Giovanni spesso ha allucinazioni, sragiona, come l'uomo che gli sta accanto e vede lucertole sulla parete della camera.

Lucio, cosi si chiama, sembrava stesse meglio quando era seduto, tanto che gli infermieri l'hanno sistemato in poltrona con dei cuscini attorno, per evitare che cadesse. Ha trascorso due notti così, si era ripreso. Purtroppo non è stato sufficiente, perchè dopo un pò di giorni si é aggravato ed è stato trasferito nella rianimazione del Dea di Lecce.

"Spesso questi pazienti - spiegano i medici - sono disorientati, non capiscono dove si trovano, sopratutto se anziani. Diventa difficile gestirli, Giovanni come tanti non tollerava la c-pap, per tre volte ha scagliato anche il ventilatore a naselli, rompendolo. La moglie però la videochiamata é riuscita a farla, grazie alla collaborazione degli infermieri e del tablet a disposizione del reparto. Nonostante lo stato confusionale, Giovanni, quando ha visto la moglie Anna e le sue due figlie, é come rientrato per un attimo, con gli occhi lucidi, alla vita che ha lasciato a casa.

Per Teresa invece, casa é diventata un pò la stanza a pressione negativa degli infettivi di Galatina dove si trova da diverse settimane. Ora sta bene, nonostante l'età avanzata, Teresa ha superato il Covid, il tampone é positivo e può ritornare a casa stando in quarantena. Lei però non vuole: si troverebbe completamente da sola, dovendo stare in isolamento fino alla negatività del tampone. Ha chiesto di restare in reparto fino a quando risulterà negativa e potrà così ricevere parenti stando in compagnia. Qui nella stanza del reparto, ogni tanto scambia due parole con gli infermieri o gli oss e non le sembra vero. I medici hanno acconsentito e a casa per ora Teresa non va, anche perché sarebbe un forte trauma per lei, non trovare più sua sorella Rita. Le due donne viveano insieme, la malattia le ha divise: una a Lecce, l'altra a Galatina. Maria vuole aspettare sua sorella, ma non sa che purtroppo non ce l'ha fatta. I medici devono trovare adesso il modo e le parole per darle la brutta notizia.

"Non c'è cosa peggiore per noi - dice un infettivologo - chiamare la famiglia per dare il triste annuncio della morte del loro caro. Anche per noi, per quanto siamo abituati, diventa davvero pesante sopportare ogni giorno il decesso di qualcuno. Ogni giorno ci muore un paziente. Sappiamo che queste persone muoiono sole, che l'ultima volta che hanno salutato e visto la propria famiglia, é stato all'arrivo in ospedale, i saluti e poi dopo il ricovero, più niente. I nostri infermieri, oss, cercano di stare vicino a questi pazienti, hanno solo noi operatori. Chi è ricoverato da più tempo, oramai ci riconosce, anche se sembriamo tutti uguali. Hanno imparato a guardare i dettagli." Così c'è la dottoressa bella, perchè ha lo sguardo dolce, il medico che si distingue dall'infermiere perchè é quello con gli occhiali arancioni, o l'altro che ha la voce pacata. Col tempo medici, infermieri e oss diventano per gli ammalati, un pò la loro famiglia.

Per qualcuno medici, infermieri, oss, sono angeli che si aggirano lungo il corridoio esterno, che collega le due ale del reparto. Di notte quando é tutto buio, queste sagome bianche, sono angeli che volano per quei malati che non ancora riescono a distinguere la realtà dall'apparenza.

Angeli li ha chiamati Antonio i medici e gli infermieri, quando gli hanno tolto la c-pap, sostituendola con un ventilatore a naselli. Non gli sembrava vero, di avere bocca e viso libero, poter ricevere l'aria a temperatura ambiente, con la possibilità di sentire, mangiare, parlare. Poter sopratutto dormire, senza quel rumore infernale l'intera giornata. Aveva gli occhi lucidi di gioia e non finiva di ringraziare. "Ditemi i vostri nomi, chi siete - gridava ai medici e agli infermieri - voglio ringraziarvi quando starò bene e potrò vedervi senza tute." Così é stato, dopo oltre un mese Antonio ha saputo di essere negativo e non aveva parole per dire grazie, ma lacrime di commozione. Ora spera per Natale di andare a casa

Speriamo che sia così anche per Mario, l'infermiere del 118 che viene assistito dai suoi colleghi, consapevoli che come Mario, anche loro possono rischiare nonostante tutte le precauzioni. Il Covid putroppo è uno dei rischi per chi fa questo lavoro, come Tommaso il giovane carabiniere dimesso dal "Santa Caterina Novella", dopo una lunga permanenza in reparto. Arrivato a Galatina col virus preso molto probabilmente, mentre era in servizio. Per i medici una possibile causa é l'essere stato a contatto tante ore col collega positivo asintomatico, che non sapeva di essere portatore del Corona virus. Così durante la pattuglia, ha contagiato il collega. Per fortuna Tommaso per Natale é a casa.

Molti giovani lo saranno, ne sono stati dimessi tanti, un pò meno gli anziani, più fragili, che purtroppo il più delle volte lasciano questa terra. Ecco almeno a Natale i giovani dovrebbero pensare a più vecchi, ricordandosi della gioia di Antonio quando ha tolto la c-pap, del panico di Paola davanti alla barella bicontenitiva, della paura della solitudine di Teresa che ancora non sa di aver perso sua sorella.

Ricordiamoci delle allucinazioni di Giovanni e degli angeli bianchi che volano fuori dalle stanze, ricordiamocelo quando non mettiamo la mascherina o la teniamo sul mento, oppure sulla bocca lasciando scoperto il naso, perché si appannano gli occhiali.

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