Si era sentita male vicino a una bancarella del mercato di via Cesare Pavese, a Torino, ed era morta poco dopo, uccisa da un malore. Per soccorrerla erano intervenute le forze dell'ordine e mentre la donna era stesa a terra, sull'asfalto, un commissario della polizia municipale le aveva scattato alcune foto con il cellulare, perché secondo lui era "quello che prevede la legge quando accadono fatti del genere". Accadde il 23 settembre 2016, nel quartiere Mirafiori sud.
Ma secondo quanto riportato dal Corriere della sera, una volta rientrato in ufficio, quel giorno, l'agente aveva scaricato le 12 immagini sul computer, ma una di queste era finita sul cellulare di un collega. La foto ritraeva la donna, con la camicetta aperta sul petto e gli elettrodi dei rianimatori del 118 ancora attaccati alla pelle. Insieme al contenuto un commento: "È ancora calda". Ieri, in aula, davanti al giudice Luca Del Colle, l'uomo ha dato la sua versione dei fatti, perché per colpa di quell'immagine e delle sue parole, il commissario ora è sotto processo con l'accusa di "vilipendio di cadavere". A denunciarlo è stata la nipote della vittima, anche lei agente della polizia municipale nel capoluogo piemontese.
"Quel giorno ero in servizio come funzionario di turno per il coordinamento del personale. Non conoscevo quella donna, ma una collega mi telefonò per comunicarmi che era sua ia. Mi disse che mi avrebbe raggiungo e così fece", ha spiegato l'uomo in aula. Che ha aggiunto altri particolari: "Il medico legale indossò i guanti, sollevò il telo bianco ed esaminò il cadavere. Quando cominciò a scattare le prime foto lo imitai. Lui fotografava il cadavere dal basso, io dall'alto. Quando tornai in ufficio, scaricai le immagini sul computer. Ricordo anche l'ora: erano le 12.21". Ma è proprio in quell'istante che, in base alle ricostruzioni, una delle foto della donna senza vita arriva sulla chat Whatsapp di un ispettore dei vigili, collega del commissario, il quale poi avvisa la nipote della vittima.
Di quella foto, però, oggi non ci sono tracce, anche perché chi l'ha ricevuta l'avrebbe subito eliminata. Il commissario, sottoposto a un procedimento disciplinare da cui non sono emersi "elementi sufficienti a sostenere contestazioni di addebiti in via disciplinare", ha sempre negato di aver inviato quel messaggio.
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