L'analisi del body language, il linguaggio del corpo, è l'ultima risorsa di chi non ha niente da raccontare. E dunque ieri tutti si sono scaraventati sul sopracciglio di un Putin accigliato e sul trumpismo di Trump, che è sempre un cartone animato di successo.
Lo scenario è eterno: da un secolo assistiamo agli incontri fra presidenti americani e russi, detti vertici o summit, in cui si decida finalmente chi ce l'ha più lungo: in questo caso se l'astutissimo ex colonnello del Kgb, oppure lo sperimentatissimo negoziatore d'affari.
Due facce da poker, body language da bisca planetaria. Comunque, hanno concesso un piccolo aperitivo al mondo trepidante: la vaga intesa per un ancor più vago cessate il fuoco in Siria. Quanto al resto, si sono toccati, hanno constatato la reciproca esistenza in carne e ossa davanti a un miliardo di scatti fotografici e solo ora si stanno davvero prendendo le misure. Prima dell'incontro, Trump si è esibito in un numero antirusso promettendo ai polacchi un intervento armato in caso di invasione. Ma soltanto per fare saltare i nervi ai democratici di casa sua in crisi di astinenza perché la carta antirussa è loro e non vogliono che gli altri bambini ci giochino.
A che gioco si gioca, dunque, ad Amburgo? Per quel che comprendiamo, questo: la Russia è in agonia perché vive soltanto del gas che vende e gli americani vogliono avere il diritto di aprire e chiudere il rubinetto di quel gas. Non c'entrano i massimi sistemi. Semmai i massimi oleodotti.
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