Lo tsunami delle donne sportive? Iniziò con un'Ondina

Lo strano destino delle eroine azzurre: vincere e sparire. Nel 1936 la Valla, nell'atletica, fu la prima azzura a conquistare i Giochi olimpici

Lo tsunami delle donne sportive? Iniziò con un'Ondina

Nelle lunghe trasferte dell'atletica, quando era più povera di oggi e si viaggiava su autobus sbuffanti, il maestro Lauro Bononcini, pesista, commissario tecnico dell'Italia negli anni Sessanta, ci teneva svegli raccontando la storia di Ondina Valla, la prima donna a vincere una medaglia d'oro olimpica di cui oggi celebriamo il centenario, 20 maggio del 1916 anno di guerra.

Ogni volta cambiava il finale perché sulla rivalità bolognese fra le due grandissime, la Trebisonda, prima sul traguardo di Berlino negli 80 ostacoli ai Giochi del 1936 e la grande rivale Claudia Testoni, più «vecchia» di 5 mesi, nata il 15 dicembre 1915 sempre sotto le Due Torri, che su quel filo non trovò la medaglia per centesimi, gli piaceva costruire storie sempre diverse, una volta dalla parte di Ondina, un'altra chiedendo giustizia per l'avversaria affrontata più di novanta volte in carriera e condannata da quel foto finish rudimentale con quattro atlete arrivate insieme in 11" e 7, un (...)

(...) decimo in più del mondiale eguagliato dalla Valla in semifinale. Per lui era importante anche ricordare la rivincita di Claudia campionessa europea sugli ostacoli bassi agli europei del 1938.

Amiche e avversarie, due campionesse per un Paese che ha sempre la memoria corta, soprattutto per le sue eroine dello sport, anche se le tracce una volta impresse nella memoria dovrebbero essere indistruttibili. Non è così, chiedetelo a Novella Calligaris, meraviglia del nuoto prima della Pellegrini, a Paola Pigni, pasionaria del mezzofondo, lei che partì dalla velocità, alla stessa Sara Simeoni primatista del mondo e olimpionica nel salto in alto, Gabriella Dorio oro dei 1.500 ai Giochi di Los Angeles '84, a Manuela Di Centa e Stefania Belmondo, fenomeni dello sci di fondo, alla Minuzzo che fu grande prima della Giordani e della Compagnoni, o alla nostra Lea Pericoli, alla Lazzarini che nel tennis aprirono la strada per Pennetta, Schiavone, Errani, Vinci. Non parliamo delle grandissime nella scherma, diciamo dalla Camber alla Ragno a Vezzali e Trillini per stare nel periodo più facile da ricordare, delle pallavoliste campioni del mondo, delle ragazze della pallanuoto che l'oro lo hanno conquistato nella sofferenza e sembrano perdute nella nebbia dei ricordi.

Per questo oggi vogliamo ricordarci di Ondina Valla che ci ha lasciato nell'ottobre del 2006 all'Aquila dove aveva riscritto la sua vita dopo il matrimonio con il chirurgo Guglielmo De Lucchi, lasciando l'atletica a vent'anni dopo essere stata prodigio a 14.

Nata dopo quattro fratelli maschi fu chiamata Trebisonda, una città turca che oggi conosciamo come Trabzon, dal padre che viveva nel sogno salgariano degli approdi lontani. Divenne Ondina per un refuso di stampa, il cronista che ne cantava le gesta chiamò Trebionda questa longilinea bolognese di 1.73 per 66 chili tormentata da una spondilosi vertebrale che ne abbreviò la carriera più delle tempestose litigate con una madre che, come molte, vedono male lo sport al femminile.

La scoprirono ad un campionato studentesco bolognese nel 1927 quando vinse il salto in alto superando un metro e dieci. A quattordici anni Martina Zanetti, responsabile della nazionale femminile, le diede la prima maglia contro il Belgio, in campo negli 80 ostacoli, con la staffetta veloce, sui 100, nel salto in lungo e nell'alto il primo amore. Per lei che era davvero il «sole in un sorriso» una cavalcata straordinaria in quei sei anni, 16 volte nella rappresentativa nazionale, 15 titoli italiani, 21 record con il mondiale di Berlino come cameo per sempre, ultimo quello del 1940 nel pentathlon, le prove multiple al femminile.

Il suo giorno dei giorni è un giovedì, 6 agosto del 1936, olimpiadi a Berlino, quelle di Owens, prima che il mondo morisse nelle spire del nazismo. Ventiquattro ore prima era stata davvero il sole dei Giochi, eguagliando, con vento a favore, il mondiale degli 80 ostacoli in 11" e 6.

Il giorno dopo aveva mal di gambe, faceva freddo anche se era agosto, non sembrava la sua giornata e neppure quella per Claudia Testoni alle prese con il ciclo. Due zollette imbevute nel cognac e via alla partenza. Testoni in testa ai 50 metri, ma Ondina rimontò. Arrivarono in 4 sul traguardo. Per tutti era stata la Valla a vincere e infatti la faticosa ricostruzione dell'arrivo, con quattro appaiate in 11" 7, segnò la storia e diede gloria per sempre a Trebisonda prima in 11" 748 centesimi davanti alla tedesca Anny Steuer 11" 809 e alla canadese Betty Taylor 11" 818 come la Testoni, ma sicura di non aver vinto medaglie e quindi introvabile quando l'italiana e la tedesca salirono sul podio e Ondina salutò come si faceva allora.

Gloria per le donne italiane, disse Mussolini il giorno in cui ricevette i campioni di Berlino a palazzo Venezia, dove il Duce volle accanto a sé la bolognese, poi gratificata con un premio di 5.000 lire, anche se Mario Lanzi argento degli 800 e Beccali, bronzo nei 1.

500 vinti alle olimpiadi di Los Angeles quattro anni prima, pensavano di meritare il primo piano. Ondina e il suo oro rubatole nella casa dell'Aquila e restituito da Nebiolo e dall'atletica italiana nel 1984. Una grande storia, una bella vita, un ricordo che il tempo non può rubarci.

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