Urlando contro il cielo

Purtroppo stiamo scrivendo una pagina della commedia italiana più vicina ai film dei Vanzina che non al Goldoni, sprazzi di vera comicità che rasentano il ridicolo

Urlando contro il cielo
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Purtroppo, dico purtroppo rispetto alle devastazioni provocate dal maltempo messe in relazione al dibattito sul cambiamento climatico, stiamo scrivendo una pagina della commedia italiana più vicina ai film dei Vanzina che non al Goldoni, sprazzi di vera comicità che rasentano il ridicolo. Parafrasando Karl Marx, il dramma che si trasforma in farsa. Che senso ha, ad esempio, il rimprovero di Elly Schlein al governo per non aver fatto nulla sul clima in 9 mesi? Una banalità. Come se l'Italia potesse risolvere da sola in tre stagioni un problema planetario. E al solito una questione di dimensioni epocali viene trattata come una polemica da cortile di casa nostra, corredata del solito impianto ideologico che è l'abito naturale di ogni discussione che si svolga nel paese dei Guelfi e dei Ghibellini.

Il rebus del momento è se il cambiamento climatico ha cause antropiche, cioè è stato determinato dalle attività dell'uomo, o se invece il caldo torrido oltre i quaranta gradi nell'Italia meridionale - e di contro il tornado, l'orco demonio, con il vento a 150 chilometri orari nell'Italia settentrionale - siano fenomeni ciclici nella meteorologia che nel tempo si sono sempre presentati. Sull'argomento, la comunità scientifica è divisa e ancor di più lo è la politica con i media al seguito. Si stanno riproponendo più o meno i comportamenti che hanno accompagnato il Covid. Nessuno ha la verità in tasca, come pure nessuno coltiva il minimo dubbio su ciò che asserisce. È una guerra di religione con fedi contrapposte.

In realtà neppure il tema è ben posto, perché anche se fosse tutta colpa dell'uomo, il nostro Paese e neppure la grande Europa potrebbero far molto, perché i grandi inquinatori sono le economie emergenti, tipo l'India o la Cina, o ancora gli Stati Uniti. E visto che l'inquinamento, il monossido di carbonio e tutto il resto superano i confini, anche se fermassimo da un momento all'altro la nostra economia, la nostra condizione non cambierebbe di un fico secco. Diventeremmo solo molto, molto più poveri. Con il paradosso di favorire la Cina, cioè il Paese che produce più carbonio al mondo, ma nel contempo anche quello che più investe in green economy (ha quasi il monopolio dei pannelli solari).

Questo non significa che non si debba perseguire una politica ambientalista contro l'inquinamento, sarebbe da folli: salvaguardare il pianeta è un obiettivo primario per tutti. Solo che, come in ogni cosa, bisogna muoversi con realismo e pragmatismo nella consapevolezza che è un problema che non possiamo risolvere da soli. Quello che, invece, possiamo - e dobbiamo - fare è creare strutture e organizzare i nostri territori in modo che simili fenomeni creino il minor danno possibile e non mettano a repentaglio la vita di qualcuno. E nel frattempo tentare di convincere i Paesi più inquinanti che forse sarebbe il caso di cambiare politica e modello di sviluppo: la Cina oggi produce all'incirca il 27% del monossido di carbonio globale; basterebbe che arrivasse a produrne il doppio di quello che introducono ora nell'atmosfera tutti i 27 Paesi europei (il 6,4%). Sarebbe un gran passo.

Questo per dire ai tanti «gretini» di turno e ai grilli parlanti del momento che il problema non è a Roma, ma a Pechino. Insomma, si imporrebbe a tutti un po' di serietà quando si parla di caldo o di uragani. A meno che qualcuno non pensi di fermare i nubifragi gridando «no rain, no rain» come a Woodstock.

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