Coronavirus

Vaccino, l’invito di Palù: "Produciamo più dosi anche in Italia"

Per il presidente dell’Aifa, Giorgio Palù, il vaccino sarà a disposizione di tutti ma serve pazientare fino a quando il mercato non sarà stabilizzato

Vaccino, l’invito di Palù: "Produciamo più dosi anche in Italia"

La campagna di vaccinazione in Italia potrebbe subire un rallentamento a causa del ritardo nella consegna dei preziosi farmaci da parte di alcune aziende farmaceutiche. Ultimo caso è quello legato ad AstraZeneca che ha annunciato che al nostro Paese in questa settimana non arriverà il 15% delle dosi di vaccino previste dagli accordi. Un problema, certo. Ma Giorgio Palù, professore emerito di Virologia all’Università di Padova e presidente dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), ha provato a spegnere le preoccupazione. Secondo l’esperto, infatti, ci saranno vaccini per tutti, bisogna solo aspettare finché non si assesterà il mercato.

In una intervista a La Stampa Palù ha sottolineato un altro elemento importante che potrebbe fare la differenza nella difficile battaglia contro Covid-19. "L’Italia produce da tempo vaccini in conto terzi e ha una grande potenzialità di impianti", ha spiegato il professore che ha poi aggiunto che "l’industria potrebbe fare la sua parte per fronteggiare l’emergenza" intervenendo in varie fasi della produzione dei vaccini autorizzati "come i processi di diluizione, filtrazione, concentrazione, liofilizzazione e infiala mento".

I vaccini

Nel frattempo la campagna di vaccinazione prosegue. Visto i ritardi nelle consegne delle dosi di vaccino qualcuno ha ipotizzato l’utilizzo dello Sputnik russo. Un’alternativa che secondo Palù è decisamente valida: "I dati pubblicati su Lancet sono ottimi. La protezione verso la malattia è del 91%, ma sarà l’Ema a verificarlo e ad esaminare i siti produttivi".

Tempi un po’ più lunghi, invece, sono previsti per il vaccino Johnson&Johnson. Il professore ha ricorda che ci vorrà circa un mese per l'ok al farmaco. Ma su questa ulteriore arma contro il coronavirus ci sono grandi aspettative grazie alle sue caratteristiche: "Si conserva a 4 gradi e funziona con una sola dose, mentre tutti i vaccini finora autorizzati necessitano di due". Tra questi vi è quello di AstraZeneca. Nuovo dati, secondo Palù, "fanno ben sperare". Il professore ha evidenziato che con la seconda dose distanziata dalla prima fino a tre mesi la protezione "salirebbe all’80%". Ciò non significa eliminare il richiamo ma i tempi più lunghi consentirebbero di vaccinare più persone. "L’Ema sta esaminando i dati- ha proseguito l’esperto- così come approfondirà le novità sulla conservazione di Pfizer in frigo e il suo utilizzo in una dose".

Le mosse delle Regioni

Il professore, invece, ha invitato alla massima cautela riguardo l’approvvigionamento parallelo di vaccini da parte delle Regioni. Anche perché una volta che si assesterà la produzione ci saranno dosi sufficienti per tutti. "È vero che la Germania si è assicurata altre dosi di Pfizer-Biontech, la seconda è un’azienda tedesca, ma c’è prima un contratto europeo da soddisfare e le case farmaceutiche devono rifornire in base a quello", ha sottolineato Palù che ha ricordato come non sia mai successo che in un anno “si arrivasse a scoprire, sperimentare, produrre e approvare tanti vaccini”.

La sicurezza

Il professore ha rassicurato sulla non pericolosità dei faramci creati in un arco di tempo relativamente breve. "Sicurezza ed efficacia sono garantite- ha spiegato- ma si sorvegliano sul campo rischi e benefici delle vaccinazioni, durata dell’immunità, evoluzione del virus e quali popolazioni proteggere prima. Gli studi finora dicono che i vaccini sono migliori del previsto". Non resta, quindi, che usare le armi individuate contro il Covid-19. La campagna di vaccinazione deve andare avanti. "Se le case farmaceutiche rispetteranno le consegne per l’estate avremo vaccinato molte categorie", ha affermato ancora Palù che ha sottolineato che l’Italia, in merito alle somministrazioni del vaccino, "è nella media europea, a parte l’Inghilterra partita prima".

Immunità di gregge

Il professore però non fa una previsione su quando si potrà raggiungere la cosiddetta immunità di gregge. "Bisognerebbe vaccinare il 65% della popolazione", ha spiegato Palù. Quest’ultimo ha evidenziato un altro problema: "Non sappiamo quanto durino gli anticorpi per cui meglio accelerare la campagna per limitare la diffusione del virus. Senza dimenticare che la pandemia finirà quando tutti i Paesi avranno i vaccini". Poi c’è l’incognita delle varianti. Secondo Palù al momento sembra che non sia necessario rivaccinarsi contro di esse ma tutto dipenderà dalla durata dell’immunità e della pandemia e da "eventuali varianti resistenti ai vaccini". Ipotesi, questa, ovviamente da non scartare. Palù, però, ha spiegato che "le varianti vanno sorvegliate senza allarmismo, ma creando un consorzio di virologi". "Come quella inglese- ha aggiunto- anche la sudafricana e la brasiliana si diffondono rapidamente, ma le ultime due potrebbero resistere in parte agli anticorpi creati dai vaccini". In ogni caso, nelle sue mutazioni di lungo periodo questo virus "già poco letale tenderà ad uccidere sempre meno per non estinguersi».

Esiste l’ipotesi che la variante inglese, "più contagiosa del 40-50% rispetto ai ceppi prima in circolazione", possa portare ad un aumento dei contagi anche in Italia. Per evitare il dilagare del virus il professore ritiene che in presenza di focolai vanno inasprite le misure su assembramenti, mobilità, trasporti e protezioni individuali. Non solo vaccino. L’ultimo pensiero Palù lo riserva agli anticorpi monoclonali approvati da poco: "Sono utili nella prime fasi dell’infezione e andrebbero utilizzati per soggetti in isolamento domiciliare e a particolare rischio a causa di comorbosità".

Altra arma contro il nemico invisibile che potrebbe aiutare ad uscire dall'emergenza.

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