Cronache

"Era una tr...". E nel caso Grillo la vittima si ritrova "imputata"

Incolpare la vittima di violenza sessuale per scaricare su di lei la responsabilità dello stupro: così si mette in atto la vittimizzazione secondaria. Il victim blaming anche dietro il caso Grillo

"Era una tr...". E nel caso Grillo la vittima si ritrova "imputata"

"Era una tr...", si leggerebbe in una delle chat finite al centro delle indagini sul presunto caso di violenza sessuale che ha coinvolto Ciro Grillo, figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle, e altri tre ragazzi. Una frase che suona quasi come un "se l'è cercata", che sta alla base del processo di colpevolizzazione delle vittime di un crimine, noto come victim blaming. "Si tende a incolpare la vittima di aver provocato o stimolato la violenza. Così lei si ritrova sul banco degli imputati", ha spiegato a IlGiornale.it la psicologa forense Francesca De Rinaldis.

Che cos'è il victim blaming?

"Davanti a fenomeni come quello della violenza sessuale si assiste spesso al processo di colpevolizzazione della vittima, che in termini tecnici prende il nome di vittimizzazione secondaria. Si tratta di un processo a cui viene sottoposta la vittima, per cui si tende a ricercare all'interno delle caratteristiche di personalità, comportamento e stili di vita, tracce di una sua presunta responsabilità o corresponsabilità. Si tende cioè a incolpare la vittima di aver partecipato, provocato o stimolato la violenza sessuale subita. Così facendo la vittima si trova posizionata sul banco degli imputati e il processo viene spostato sulla ricerca di indizi di colpevolezza di chi ha subito violenza, piuttosto che sulle caratteristiche comportamentali o offensive dell'autore del crimine".

La paura di una colpevolizzazione può indurre la vittima a non denunciare?

"Assolutamente sì. Spesso il processo di vittimizzazione secondaria funge da deterrente nella denuncia. La vittima infatti per evitare di trovarsi bersagliata e sottoposta a giudizio, per un senso di protezione, vergogna e paura di un'etichettamento, rinuncia a denunciare, così da non esporre se stessa alle conseguenze di questi atteggiamenti da parte della società".

Quali effetti può avere il victim blaming su una vittima di violenza sessuale?

"Dal punto di vista psicologico spesso assistiamo a una perdita dell'autostima, del valore di sé, e a profondi vissuti di autoaccusa, quindi all'attivazione di un giudizio molto severo nei confronti di se stessi, del proprio comportamento e stile relazione. In contesti più delicati possono attivarsi anche dei vissuti depressivi, di chiusura sociale e relazionale e conseguenze a lungo termine, che spesso determinano anche risvolti psicopatologici abbastanza severi, con ricadute sul piano relazione, affettivo e sulla vita sessuale. La violenza in sé produce effetti negativi e destabilizzanti sul piano della personalità. Ma non è per tutti uguale: la reazione è soggettiva e persone dotate di meno risorse personali e sociali possono attraversare vissuti più traumatizzanti. Non c'è un termine esatto per stabilire quando, come e dove le conseguenze della violenza emergeranno. Spesso lo stereotipo porta a credere solo alla vittima che manifesta le conseguenze della violenza nell'immediato, mentre la persona che denuncia tardivamente e che ha continuato a condurre apparentemente una vita normale rischia di essere giudicata come mendace".

Anche nel caso Grillo il fatto che la ragazza avesse fatto kite surf la mattina dopo ha fatto discutere.

"Questo perché, secondo lo stereotipo sociale, la vittima avrebbe dovuto essere annientata fin da subito. L'idea alla base è la seguente: se tutti notano le conseguenze allora c'è stata violenza, ma se la società ha visto la vittima condurre una vita adattata, allora lei sta mentendo".

Questa idea, inserita anche nel video Beppe Grillo, può essere considerata una forma di victim blaming?

"Senza entrare nel merito della vicenda sotto il profilo investigativo e giuridico, appare proprio come se ci fosse una deresponsabilizzazione del comportamento, uno scarico di responsabilità sulla vittima e quindi una sorta di auto-assoluzione da parte di colui o coloro che la Giustizia stabilirà essere o meno autori del crimine. In questi casi, siccome può apparire che la vittima dopo il fatto si sia comportata in modo apparentemente normale, allora l'offender ritiene di non aver fatto nulla di grave e che lei abbia accettato e normalizzato ciò che è successo".

Quindi la colpevolizzazione può essere una strategia difensiva?

"Dal punto di vista psicologico l’attribuzione di responsabilità alla vittima può rappresentare un meccanismo di difesa che mette in atto l'offender per normalizzare un proprio comportamento. È un meccanismo proiettivo, una difesa psicologica che porta a spostare la responsabilità da sé alla vittima. Quindi si tratta, da una parte, di una deresponsabilizzazione e, dall'altra, di un'attribuzione di responsabilità alla vittima".

Anche la condivisione tra i ragazzi di racconti e video può essere un meccanismo volto alla colpevolizzazione della vittima?

"No, in questo caso subentrano altri due meccanismi. Il primo è la deumanizzazione della vittima, che viene considerata un oggetto, veicolo di soddisfacimento del proprio piacere e, per alcuni aspetti, una prova oggettiva della propria virilità. Il secondo è il bisogno narcisistico di farsi conoscere in modo positivo dal gruppo dei pari attraverso un comportamento di successo e affermazione sessuale. E l'intento non è denigrare la vittima, ma esporre se stessi a un'accettazione sociale e riconoscimento. La divulgazione di foto filmati apre a un'altra riflessione. Nel caso Grillo, come in altre storie, è presente la divulgazione di foto e video ad un numero alto di persone, spesso nemmeno quantificabile, e questo porta la vittima a essere esposta alla violenza in maniera ancora più invasiva che si ripete in modo ciciclo: pensare che un elevato numero di persone abbia visto i video può provocare conseguenze gravi sullo stato di benessere psico-esistenziale della vittima. Basti pensare al fatto che, anche in ragione di ciò, c’è chi è arrivato a compiere gesti suicidiari, soccombendo a questo senso vergogna provocato dalla diffusione di filmati e immagini"

È possibile fare prevenzione in questo senso?

"Temo che ancora oggi siamo ancorati a una visione atavica sui ruoli della sessualità maschile e femminile. Per questo c'è bisogno di un'educazione sul rispetto della sessualità, del proprio corpo e di conseguenza anche di quello dell'altro.

Sarebbe opportuno focalizzarsi sull'educazione al rispetto del proprio corpo e sull'educazione emotiva fin dalle scuole elementari, lavorando sul riconoscimento emotivo e sul rispecchiamento empatico".

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