Continuano ad agitarsi in quel di Italia Viva. Anche se ormai da qualche giorno Matteo Renzi ha riposto il kalashnikov per imbracciare la cerbottana, mentre il ministro Teresa Bellanova ha messo da parte la minaccia delle dimissioni e adesso auspica più cautamente «una sintesi» tra le diverse posizioni. Sono i segnali di una tregua obbligata. Facilitata da un Giuseppe Conte che ha deciso di aprire a un confronto con l'ex premier (così da riconoscergli legittimità), ma imposta nei fatti dalla moral suasion del Quirinale, preoccupato dallo spettacolo che stava dando la maggioranza di governo davanti a un Paese alle prese con un'emergenza senza precedenti.
Per qualche tempo, insomma, la navigazione del governo non dovrebbe essere più vittima del fuoco amico. A partire dal caso Bonafede, visto che, al di là delle dichiarazioni pubbliche, pare al momento escluso che Italia Viva possa sostenere la mozione di sfiducia al ministro della Giustizia presentata da Lega, Fratelli d'Italia e Forza Italia. D'altronde, mettendo da parte la consueta esuberanza, Renzi sa bene che è altamente improbabile che l'esecutivo possa andare a sbattere per un incidente parlamentare. Che l'eventuale crisi del Conte 2 si possa consumare nel Palazzo, con un voto contrario, è infatti il meno gettonato degli scenari. Per una serie di ragioni, ultima - ma non meno importante - il timore di lasciare le impronte digitali su uno showdown che si consumerebbe tra l'incredulità del Paese. Ne sa qualcosa Matteo Salvini, che ancora oggi paga pegno per avere fatto brillare l'esecutivo in pieno agosto. Ancora più inspiegabile sarebbe per Renzi farlo saltare oggi, nel pieno dell'emergenza Covid-19.
Ne è consapevole il leader di Italia Viva, che non a caso sul «come» e sul «quando» fare saltare il banco non ha mai avuto certezze. Così, archiviato il frettoloso ultimatum lanciato a Conte in Senato lo scorso 30 aprile, l'ex premier ha iniziato a ragionare su una prospettiva di più lungo periodo. A settembre-ottobre, infatti, non è affatto escluso che l'esecutivo vada incontro ad uno scenario molto simile a quello della fine del 2011, con tutti gli indicatori economici in forte fibrillazione. È la peggiore delle ipotesi possibili, certo, ma è proprio quella evocata dal neo presidente di Confindustria Carlo Bonomi, che contesta al governo di avere «fatto una miriade di interventi a pioggia senza pensare a misure strutturali». Insomma, finiti i contributi a fondo perduto l'economia rischia di arenarsi definitivamente. A quel punto - magari dopo aver utilizzato anche i 37 miliardi del Mes che ora Luigi Di Maio e il M5s guardano con disprezzo - la crisi economica rischia di diventare ingestibile, con lo spread pronto a tornare sull'ottovolante come nell'estate del 2011. In quell'anno schizzò dai 173 punti di inizio gennaio ai 528 punti del 30 dicembre, con un incremento di 355 punti. E con in mezzo - a metà novembre - le dimissioni di Silvio Berlusconi da presidente del Consiglio.
È esattamente questo lo schema che in molti immaginano per il governo Conte, che difficilmente riuscirà a reggere l'emergenza economica che si abbatterà sul Paese nei prossimi mesi.
A quel punto sì che la crisi di governo sarà uno degli scenari possibili, se non quello più probabile. Una crisi non parlamentare, che Renzi - e non solo lui - si prepara a cavalcare. La resa dei conti, insomma, è solo rimandata.
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