Vietato dire di una donna che ha subito violenza sessuale che è una “vittima”. O, almeno, è caldamente consigliato definirla “sopravvissuta”. L’ultima battaglia delle parole è nel documento presentato all'attenzione dei giornalisti in cui vengono disegnate le linee guida da utilizzare quando si deve raccontare il dramma infame dello stupro.
“Le persone colpite da questo genere di trauma non necessariamente desiderano essere definite "vittime", a meno che non utilizzino esse stesse questa parola. Venir etichettati può infatti far molto male. Un termine più appropriato potrebbe essere "sopravvissuta". Deriva, questa raccomandazione della Federazione Internazionale dei Giornalisti, da quanto è scritto negli approfondimenti alla Convenzione di Istanbul pubblicati tra gli atti parlamentari e che risalgono alla fine del 2013 e rientra nel più ampio panorama dell'analisi sulla violenza di genere.
La situazione dell’Italia, secondo il testo, è quella di un Paese arretrato, addirittura incapace di pensare alle donne in altra chiave che non sia quella sessuale: “La concezione stereotipata delle donne nei media è largamente diffusa in Italia.
Prendendo in considerazione lo spazio che occupano nei programmi televisivi, il Censis registra che il 53% delle donne che appaiono in televisione non ha voce; il 43% è associato a temi come sesso, moda, spettacolo e bellezza, e solo nel 2% dei casi ai temi di impegno sociale e professionalità. Inoltre, nei programmi televisivi le donne sono quasi sempre relegate a rappresentare l’opinione popolare o a parlare della loro esperienza personale e condizione familiare”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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