Cronache

Visso, a tre anni dal terremoto un paese spettrale. Dimenticato pure da Dio

Siamo andati a Visso, in provincia di Macerata. Un paese distrutto dal terremoto di tre anni fa. Una realtà spettrale che mette i brividi.

Visso, a tre anni dal terremoto un paese spettrale. Dimenticato pure da Dio

Adagiato in una conca dell’alta valle di Nera, in provincia di Macerata, tra Camerino e Foligno, se ne sta uno dei Borghi più belli d’Italia. Visso distrutto dal terremoto. Situato nel centro del nostro Paese, nel cuore di quell’Italia che pulsa, Visso è dimenticato da tutti. Dimenticato da Dio. Dagli uomini. Dallo Stato. Dal Governo. Gli unici che sopravvivono sono alcuni abitanti, chi a Visso ci sono nati e cresciuti e che sanno che moriranno in una branda data dallo Stato.

Perché Visso è uno dei paesi più colpiti dal terremoto di tre anni fa. Insieme ai vicini Ussita e Castelsantangelo sul Nera, ancora, dopo tre anni, le cose non sono cambiate. Il terremoto che sembra sia stato ieri, ha distrutto tutto. Un paesino di 1061 anime che sta lentamente sparendo. La gente accatastata ancora dentro alle casette se ne sta andando. Chi ha la fortuna cerca riparo altrove, va al Nord, va a studiare in città e poi si trasferisce là. Ma chi non ha più niente, chi non ha più una casa, più un lavoro, più una piazza, chi non ha più le proprie abitudini e non ricorda nemmeno quanti anni ha, fa fatica a prendere e andarsene.

Le persone alcune, hanno gli occhi fermi. Spenti. Infreddoliti. Vivono in perenne attesa. Nella speranza che cambi qualcosa. Che quel piccolo paesello crocevia verso la strada che porta a Roma possa ripartire. Ma senza l’aiuto di qualcuno, Visso non riparte.

Visso è un piccolo borgo dalla storia ricca e antica e a 607 metri sul livello del mare, se ne sta attorniato dai verdi Monti Sibillini. Inserito tra le bandiere arancioni del Touring Club Italiano, ora Visso è un paese spettrale. Un paesaggio lunare. Sembra uno di quei paesi dove è appena finita la guerra. Tutto fermo. Immobile. Un silenzio angosciante regna nel centro.

Accediamo alla Zona Rossa accompagnati dall’unico vigile urbano del comune, Ernesto Martini. Il giro dura un paio d’ore, e ogni volta rivedere quelle immagini fa un male cane.

Tutt’intorno ci stanno solo macerie. Nient’altro che macerie. Detriti. Calcinacci. Case sventrate. Porte aperte. Vetri infranti. Ancora dentro le abitazioni squarciate dalla furia del terremoto - la più violenta scossa il 26 ottobre di tre anni fa - ci stanno gli oggetti personali delle persone. Mobili ribaltati, gettati in mezzo ai calcinacci, tovaglie a quadri, abat- jour che pendono nel vuoto, cassettoni di biancheria, coperte, lenzuola. Ancora si vede la gente, dopo tre anni andare a prendere la propria roba, caricarla dentro a dei sacchi o a delle cassette e portarla fino alle casette. Quelle casette che lo Stato ha dato a questa povera gente che sa che lì dentro ci morirà.

Incontriamo il sindaco del paese, Gian Luigi Spiganti Maurizi. Attualmente gli sfollati sono ancora oltre 800 e la ricostruzione ci spiega “è ferma al 2016, 2017”. A tre anni dal terremoto ancora sono presi così. Non c’è più niente. Tutto distrutto. Solo macerie. Il 92 per cento degli edifici è inagibile. Il turismo non riprende. Alberghi. Hotel e ristoranti chiusi. Le case, hanno detto le persone, saranno ricostruite tra 20 anni.

Anna Rita Mocci, una donna che incontriamo durante il nostro reportage, di anni ne ha 67. Lei chiede che venga messa una chiesetta dove ci stanno le casette.

E lei è una di quelle che si sveglia tutte le mattine e vede queste case completamente distrutte.

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