Vuote e sovietiche Ecco le parole simbolo della Ue

Ecco il manifesto dell'Unione europea senza identità: l'Europa strampalata ha parlole un po' insipide e un po' sovietiche. Tra i valori suggeriti spiccano "Uguaglianza", "Progresso" e "Accoglienza"

Vuote e sovietiche Ecco le parole simbolo della Ue

Il 25 marzo si festeggiano, nella Capitale, i 60 anni del Trattato di Roma. Il documento, che istituiva il mercato comune, fu un passo decisivo verso l'Unione europea. Non si può dire però che sia invecchiato bene. Le istituzioni di Bruxelles oggi sono in discussione in tutto il Continente. La Brexit è solo l'esempio più eclatante di un malcontento diffuso. L'Europa non sembra in grado di garantire ricchezza e sicurezza. Anzi. Molti cittadini pensano sia un ostacolo all'una e all'altra. L'Unione stessa sembra alimentare i dubbi sulla propria natura. In questi giorni, la Commissione europea ha lanciato una campagna autocelebrativa con affissioni di manifesti sulle pareti delle stazioni ferroviarie.

I cartelloni hanno suscitato perplessità subito finite su Facebook. Le parole scelte per illustrare i valori dell'Unione per alcuni passanti sono disvalori. L'editore Francesco Giubilei, che ha lanciato il dibattito, si chiede se davvero quel piccolo vocabolario, le cui iniziali compongono la parola «Europa», abbia a che fare con l'identità culturale europea. Vediamo. Su «Opportunità» e «Unità» e «Rispetto» niente da dire, se non che si tratta di semplici auspici. Ma «Eguaglianza», «Progresso» e «Accoglienza»? Molti avrebbero preferito termini meno ideologici ma più concreti come «Libertà», «Innovazione» e «Integrazione». Pazienza per la trovata grafica, si poteva inventare qualcosa di diverso... «Libertà» tra l'altro c'è, ma in caratteri così minuscoli da richiedere il microscopio. Chiara dunque la gerarchia nella scala dei valori. Non è chiaro invece quale, tra quelle indicate dai manifesti, sia una caratteristica esclusiva dell'Europa. «Uguaglianza» va bene anche per la Cina o per la vecchia Unione Sovietica.

Queste scelte riflettono una «identità infelice», per usare la formula di Alain Finkielkraut. Ne L'identità infelice (Guanda) il filosofo francese si chiede se l'Europa faccia ancora parte... dell'Europa. Dopo la Seconda guerra mondiale e l'orrore della Shoah, il Vecchio continente «ha scelto di disamorarsi di sé, di lasciare se stesso, per uscire, una volta per tutte, dal solco della sua storia sanguinosa». L'Europa «non è un club cristiano. Non è nemmeno un club scristianizzato. Semplicemente non è un club. Né una comunità d'ascendenza. E nemmeno un'identità post-nazionale. È l'ingresso degli europei nell'epoca post-identitaria».

Il «proprio» dell'Europa uscita dai trattati è non avere un «proprio» ma diventare la cornice entro la quale accogliere (ecco la «Accoglienza» ben evidente dei manifesti) gli Altri senza nulla chiedere in cambio: «Per l'Europa è giunto il momento di non essere né ebraica, né greca, né romana, né moderna, né niente».

Le parole dell'Unione lasciano intendere proprio questa resa incondizionata.

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