da Roma
Scommettiamo che alla fine Leoni per agnelli incasserà più nella vecchia Europa che in patria? Tom Cruise, che l'ha prodotto con la fedele socia Paula Wagner sotto il glorioso marchio United Artists, è il primo a saperlo. Benché interpretato da tre star del calibro di Robert Redford (pure regista), Meryl Streep e Cruise stesso, il film sul mercato americano ha racimolato la miseria di 14.5 milioni di dollari, essendo costato il triplo. Nel confronto la Spagna, con quasi 6 milioni di euro, ha fatto il miracolo, e dal 21 in poi sapremo se anche l'Italia, cine-panettoni a parte, andrà in controtendenza, regalando qualche sorriso all'attore quarantacinquenne. Certo, la guerra in Afghanistan, la scansione in tre atti, la dimensione quasi da camera non aiutano, benché il film abbia trovato i suoi battaglieri estimatori alla Festa del cinema. Ma neanche alla Fox, che distribuisce in 200 copie puntando sul terzetto divistico, si fanno troppe illusioni. Ci si attende molto di più da Valkyrie, kolossal da 65 milioni di dollari che Cruise ha girato a Berlino, tra traversie e contestazioni, accanto a Kenneth Branagh e Terence Stamp (dirige Bryan Singer).
Benda sugli occhi, tagli di capelli alla nazista, divisa da alto ufficiale, Cruise incarna il colonnello Claus von Stauffenberg, che tentò di uccidere Hitler nell'attentato del 20 luglio 1944, finendo a sua volta impiccato. Sarà quella la vera prova del fuoco per la United Artists (nacque nel 1919 con Charlie Chaplin e fu già affondata una volta da Michael Cimino con I cancelli del cielo) rifondata da mister «Top Gun» dopo il clamoroso divorzio dalla Paramount. «La sua recente condotta è inaccettabile per noi», sentenziò Sumner Redston, gran capo della Viacom. Magari non fu solo colpa delle escandescenze paterne allo show di Oprah Winfrey, dell'ossessiva affiliazione a Scientology, delle rogne matrimoniali con Katie Holmes o delle crescenti pretese contrattuali. La verità è che i suoi ultimi film, incluso il terzo Mission: Impossible, hanno faticato al box-office. E pensare che Cruise può vantare un discreto record: secondo solo a Tom Hanks, 14 dei suoi 27 film hanno incassato sopra i 100 milioni di dollari, tanto che la «dotazione» commerciale dell'attore, nell'arco della fitta carriera, si aggira attorno a 2 miliardi e 600 milioni di dollari.
Nondimeno, qualcosa sembra essersi rotto nel rapporto tra Cruise e il pubblico americano. Giocando sul titolo del suo primo film da protagonista, 1983, l'autorevole e poco indulgente Wall Street Journal ha definito «Risky Business», cioè un affare rischioso, la decisione di mettersi produttivamente in proprio, confidando sull'accordo con la Mgm e sui 500 milioni di dollari assicurati dalla Merrill Lynch per una quindicina di progetti. Tra questi: il seguito dell'Affare Thomas Crown, già remake di un classico di Steve McQueen, ancora con Pierce Brosnan; una biografia di Hugh Hefner diretta da Brett Ratner starring lo stesso Cruise nella vestaglia del fondatore di Playboy; il controverso Pinkville di Oliver Stone sul massacro di civili nel villaggio vietnamita di My Lai.
Nel frattempo, mentre Valkyrie è al montaggio in attesa di uscire a giugno 2008, l'attore si diverte a spiazzare il suo pubblico, un po' come fece ai tempi di Magnolia incarnando un santone sessuomane e narcisista. Eccolo imbruttito e obeso, reso calvo da una calotta e con un toupé a simulare il petto villoso, sul set di Tropic Thunder, commedia d'azione diretta dall'amico e comico Ben Stiller. Solo un cameo insieme alla moglie, ma chissà che non segni un cambio di indirizzo, il piacere di sbriciolare una certa immagine eroica e per bene.
Riflette Nick Vivarelli, corrispondente dall'Italia per la rivista Variety: «Mi pare prematuro tirare delle conclusioni dopo solo un insuccesso.
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