Cuba, basta pensare a un reato per finire diritti in prigione

Rapporto sui diritti umani a 3 anni dal passaggio di poteri: aumentano le condanne basate sulla semplice intenzione di commettere un illecito

Cuba, basta pensare a un reato 
per finire diritti in prigione

Madrid - Sono ormai passati più di tre anni dal luglio 2006, quando Raúl Castro ha ricevuto il posto di timoniere di Cuba dal fratello Fidel, duramente provato da una malattia intestinale. Ma le deboli speranze di cambio accese tra i cubani dall'arrivo del minore dei Castro, sembrano essere state ampiamente deluse. Gli apparenti passi in avanti come l'apertura all'acquisto di elettrodomestici, cellulari e computer (senza accesso a internet) sono rimasti nella memoria quasi come fatti aneddotici, mentre, in silenzio, la pressione sui diritti e le libertà civili sembra essersi invece rafforzata.

A dare il primo, pesante, giudizio sull'«era Raúl» è stata l'Ong statunitense Human Right Watch (Hrw), che nel rapporto «Nuovo Castro, stessa Cuba» denuncia come Raúl «non ha affatto smontato la macchina della repressione, ma l'ha anzi mantenuta vigente e pienamente attiva». Raúl, che ha ereditato un sistema di leggi abusive e centinaia di prigionieri politici, spiega Hrw, invece di allentare la presa ha «fatto ricorso a leggi draconiane e a processi giudiziari farsa per incarcerarne molte altre, colpevoli solo di esercitare le proprie libertà basilari».

Lo strumento giuridico che Raúl ha usato più spesso è una legge del codice penale che consente allo Stato di incarcerare qualsiasi persona in base alla sua «pericolosità predelittiva», ovvero prima ancora che abbia commesso un reato, e in base ai sospetti che possa commetterlo in futuro. Sul tema, il giudizio di Hrw è inappellabile: «Questa norma è la più orwelliana di tutte le leggi cubane, e capta l'essenza della mentalità repressiva del governo, che considera una potenziale minaccia qualsiasi persona le cui azioni non si accordino con le sue».

L'Ong ha basato il suo rapporto su una sessantina di interviste realizzate nell'isola in incognito (il regime non consente di svolgere nessuno studio ufficiale), e ha raccolto una quarantina di casi in cui il governo di Raúl ha arrestato cittadini cubani solo perché diffondevano la Dichiarazione universale dei diritti umani, perché partecipavano a manifestazioni pacifiche o scrivevano articoli contro il governo.

Il regime di Raúl si è quindi ben guardato dall'eliminare strumenti di coercizione come l'articolo 62 della Costituzione che proibisce l'esercizio di qualsiasi diritto basilare che contravvenga «i fini dello Stato socialista». E, senza ricorrere al carcere, non sembra aver abbandonato neanche misure come l'intimidazione o la minaccia messe in atto dalla cosiddetta Brigata di risposta rapida. Pochi giorni fa la blogger Yoani Sánchez e altri due colleghi hanno sofferto e denunciato in prima persona un'aggressione fisica e verbale di questo tipo.

Settimane fa, al telefono con il Giornale, Sánchez aveva fatto un bilancio del governo Raúl - al potere pressappoco dall'inizio del suo blog, Generación Y -, arrivando alle stesse conclusioni di Hrw. «L'incidenza pratica di Raúl è stata nulla» aveva detto Sánchez, che descriveva il nuovo leader come più taciturno, e quindi più impenetrabile, del fratello maggiore.

Ieri il presidente statunitense Barack Obama ha risposto proprio sul blog della Sánchez a 7 domande che la blogger aveva posto a lui e a Raúl giorni fa. Obama ha assicurato di non essere interessato a «parlare tanto per parlare» con il leader cubano e lascia intendere che non visiterà l'isola fino a quando il governo comunista non avrà cambiato registro. Il presidente dichiara anche che la normalizzazione delle relazioni fra l'Avana e Washington dipenderà dall'atteggiamento di Cuba.


Intanto mentre Raúl tace, il quotidiano ufficiale Granma definisce il rapporto di Hrw come «un vano tentativo di macchiare l'impeccabile opera dell'isola a favore della dignità e dei veri diritti umani di oltre 11 milioni di cubani».

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