Cuba punisce la blogger antiregime "Rapita e picchiata, stile camorra"

Yoani Sanchez, una delle voci più critiche sulla dittatura di Castro, fermata mentre andava a una manifestazione contro la violenza

Cuba punisce la blogger antiregime 
"Rapita e picchiata, stile camorra"

«Nei pressi di calle 23, proprio alla rotonda dell'avenida de los Presidente, abbiamo visto arrivare a bordo di un'auto nera - di fabbricazione cinese - tre robusti sconosciuti: “Yoani, sali in auto” mi ha detto il primo afferrandomi con forza per un polso».
Comincia così il racconto che Yoani Sanchez, 34 anni, la blogger cubana vincitrice di diversi premi internazionali, ha consegnato ieri nelle capaci mani dell'intero mondo che si abbevera a Internet tramite il suo «diario», «Generación Y». Un sequestro in piena regola, da parte della polizia politica cubana, che aspettava Yoani e i suoi due amici al varco (stavano andando a una manifestazione per la non violenza all'Avana). Venti minuti di violenza verbale e fisica, «nel peggiore stile della camorra», racconta la Sanchez nel suo visitatissimo blog; come se il normale, quotidiano stile cubano, avesse qualcosa da invidiare al peggior stile camorrista.
La Sanchez era insieme con un suo amico, Orlando Luis Pardo, anche lui un blogger. Entrambi sono stati costretti a salire su un'auto, come nella migliore tradizione dei film polizieschi, e maltrattati per una bella ventina di minuti; dopo di che sono stati buttati fuori dall'auto: pesti e, almeno nelle intenzioni degli sbirri, intimoriti.
Oltre a Luis Pardo, Yoani camminava con altre due sue amiche, anche queste caricate di forza su un'auto della polizia e liberate poco dopo. «Quando mi hanno chiesto di salire sul loro mezzo - racconta Yoani - io mi sono rifiutata e ho chiesto che si identificassero ed esibissero un mandato giudiziario che li autorizzasse a portarci via». Anche a Cuba, questo atteggiamento si chiama «resistenza a pubblico ufficiale». I passanti, i curiosi cominciano a fermarsi, ad essere una piccola folla. Yoani grida aiuto. «Questi uomini ci vogliono sequestrare», urla ai passanti imbambolati, senza trovarne uno che abbia il fegato di intervenire. Vincono i poliziotti, che latrano a brutto muso: «Non vi intromettete; questi sono due controrivoluzionari».
Il peggio arriva ora. «Di fronte alla nostra resistenza verbale - racconta Yoani - i poliziotti hanno preso il telefono e hanno detto a qualcuno che doveva essere il loro capo: “Cosa facciamo? Non vogliono salire sull'auto”. Immagino che dall'altro lato la risposta sia stata categorica, perché dopo ci hanno riempito di botte e spintoni, mi hanno caricato con la testa verso il basso e hanno tentato di infilarmi nell'auto. Orlando era stato immobilizzato da una mossa di karate che lo faceva stare con la testa verso il pavimento dell'auto. Uno ha messo le sue ginocchia sul mio petto e l'altro, dal sedile anteriore mi colpiva nella zona dei reni e sulla testa. Per un istante, ho temuto che non sarei più uscita da quell'auto. “Sei arrivata fino a qui, Yoani”, “Adesso la finirai di fare pagliacciate”, ha detto quello che era seduto accanto all'autista e che mi tirava i capelli».
Così, mentre uno dei poliziotti, un picchiatore professionista, concia per le feste il suo amico Orlando, Yoani lotta per liberarsi dalla pressione di un altro gorilla, costretto per un momento a mollare la presa quando Yoani, brancicando alla cieca, riesce ad afferrargli i testicoli schiacciandoglieli un bel po'. Altre sberle, altre manate in faccia. Poi l'auto si arresta, lo sportello si apre, i due controrivoluzionari sono col sedere sull'asfalto.

Resta, a Yoani e al suo amico, una soddisfazione. Quella di aver visto sul volto dei loro aggressori «la paura del nuovo, delle cose che non possono distruggere perché non le comprendono, il terrore del gradasso che sa di avere i giorni contati».

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