Riprendiamoci i rifiuti. Per cucinarli. Anche lui, senza far paragoni irriverenti, è salito sulla Montagna, per scrivere le sue tavole. O, meglio, la sua tavola. Realizzare la sua ricetta per far sopravvivere il mondo, in armonia. Lui è Norbert Niederkofler e la sua Montagna, anzi, le sue Montagne, sono le Dolomiti. Quartier generale delle sue grandi manovre, per riportare la normalità in cucina, il ristorante St. Hubertus a San Cassiano, Alta Val Badia. Ma armonia e normalità, passeggiando avviticchiate sulle stesso sentiero, conducono entrambe alla stessa destinazione: quella dell'etica. L'etica in cucina, la cucina etica. E l'etica, anche se non ha l'accento sulla a, fa rima con semplicità. «Quella - spiega Niederkofler - di un bambino, come mio figlio che, a sei anni, dopo che ha gustato un piatto, decreta: Mi piace. Non mi piace. Buono o cattivo. Sono loro i bambini, gli unici che apprezzano i gusti autentici, che ci educano alla vera cucina etica. Ed è per loro che dobbiamo lavorare perché l'etica entri nelle cucine di casa, come in quelle dei grandi chef». Si accarezza la barba Norbert, insegue i suoi pensieri, e poi eccolo, fulmineo, a mostrarmi come anche le bucce delle patate tornano comode in più di una ricetta. «Spesso la parte nutrizionale sono le bucce e quando lo spieghi, la gente si stupisce. Etica non significa moda, dobbiamo procedere a piccoli passi, cominciando dagli asili, dalle scuole. Per poi farla capire agli adulti».
È sulla scia di queste intuizioni che, in tempi non sospetti, ha ideato Care's: The ethical Chef Days, radunando a San Cassiano, anche nello scorso gennaio, 30 chef di 13 Paesi. Un trionfo di sapori e di emozioni, con tempi di cottura variabili, certo, ma destinati a durare e a rinnovarsi nel tempo. Il tutto per un principio sacrosanto: prendersi cura. Prendersi cura e aver cura di noi stessi, degli altri, della nostra Terra, del nostro stomaco. Insomma, sintetizzando: «Care's», appunto. La bandiera sotto la quale per tre giorni, in Alta Val Badia, si è celebrata questa intrigante kermesse che ha proposto anche convegni sul «Well-Living» con scienziati, ricercatori, architetti e pionieri delle smart cities. Il benessere e l'attenzione a noi stessi e al nostro patrimonio etico, non solo, quindi, nelle creazioni stuzzicanti degli chef.
QUANTO SPRECO
Un successo. Tanto che, come ogni buon predicatore, il «duestellato» chef del St. Hubertus, lascerà temporaneamente la sua montagna nel prossimo maggio per scendere a valle, anzi, al mare di Salina e riproporre sulla piccola isola eoliana, format e messaggio. La verità vera? I dati diffusi dalla Fao la riassumono così: siamo sommersi da 1,3 miliardi di tonnellate di cibo che vengono gettate ogni anno, per un valore complessivo di 750 miliardi, 12 miliardi solo in Italia, mentre oltre 795 milioni di persone soffrono la fame. Ridurre questo paradosso dell'abbondanza rientra anche tra gli Obiettivi di sviluppo sostenibile 2030 delle Nazioni Unite. Servirà a farci riflettere, d'ora in poi, anche la Giornata nazionale anti-spreco alimentare, decretata dal ministero dell'Ambiente il 5 febbraio e destinata a rimanere tale anche in futuro?
E dal predicatore all'ambasciatore dell'etica, Massimo Bottura, lo chef-patron della «Francescana» di Modena, circondato dalle stelle (Michelin), che ha conquistato anche la laurea ad honorem in Direzione Aziendale all'Università di Bologna con una lectio magistralis, focalizzata sull'imprenditoria etica. Con un linguaggio che arriva al cuore, prima ancora che al palato, Bottura ama parlare, per rendere la sua idea di etica, della zuppa della sua infanzia: latte, pane e zucchero. «Perché pescando nella memoria per me non c'è nulla di più buono di una tazza di latte con pane raffermo e un cucchiaio di zucchero». Tre ingredienti che oggi Bottura attualizza dando corpo ad una cialda dorata di zucchero. È diventato questo il piatto-simbolo del Refettorio Ambrosiano, nei mesi dell'Expo 2015 a Milano, progetto ideato dallo chef Massimo o Massimo chef. Esperienza che verrà declinata in altri luoghi. «Prima dell'estate - conferma Bottura - apriremo un refettorio a Londra. Ducasse e Adrià hanno già aderito. E poi andremo a Berlino. A Londra si spenderanno 50 centesimi per una zuppa, 30 per una verdura: una piccola somma che serve però a non farla considerare carità».
I COMANDAMENTI
Difficile, impossibile imbrigliare la fantasia e l'inventiva. E Bottura ne è la prova. In cucina e fuori dalla cucina. Se è vero che durante le Olimpiadi di Rio ha fatto nascere, con la collaborazione dell'associazione Gastromotiva e la partecipazione di 45 chef, «RefettoRio». Una mensa-laboratorio sulla scia del Refettorio Ambrosiano, una «cucina etica» che ha servito pasti ai bisognosi preparati con le eccedenze alimentari recuperate (oltre 15 tonnellate di cibo raccolte e trasformate in 11mila pasti). È anche vero che la «Francescana» di Modena è diventata una sorta di università dell'etica: «Abbiamo 2mila richieste di stage. Vengono qui, e insieme alla cucina imparano la stagionalità, assorbono la cultura della sostenibilità, il divieto di sprecare, il rispetto per il lavoro dei contadini e diventano ambasciatori nel mondo di un Italia del buono e del bello». E, schiettezza per schiettezza, c'è lo chef della simpatia che ha conquistato Milano e l'Italia, che detesta, come le chiama lui, «le minchiate» che fanno tendenza e porta nel piatto la sua filosofia etica. La filosofia dell'oste di una volta, prima ancora dello chef. Meno telecamere e più fornelli accesi, è la filosofia etica di Filippo La Mantia.
«Io penso che l'etica nella cucina della gente povera c'è sempre stata. Era la scelta di non sprecare nulla perché c'era poco e quel poco doveva essere utilizzato per nutrirci al meglio. Oggi l'etica è diventata un imperativo da trasmettere ai giovani: non sprecare, rispetto dell'ambiente, seguire il corso delle stagioni. Oggi viviamo di slogan ma bisogna impedire che anche la cucina etica lo diventi. Io vedo la gente nei supermercati che riempie i carrelli di cose che non servono a nulla. O che sono già pronte e quindi ci vengono imposte dal mercato. Così si perde la capacità di scegliere, di apprezzare e si penalizza il produttore, agricoltore o allevatore che sia, che si impegna e lavora con passione».
LA SOLIDARIETÀ
Etica come divisa di ogni chef? «Certo. Noi dovremmo stare solo in cucina perché se la gente va al ristorante deve trovare il cuoco, il padrone di casa. Perché il padrone di casa si deve prendere critiche e complimenti. In questo senso l'etica è anche un ritorno al vis à vis. Non ce l'ho con la tv, ma la tv dà un messaggio sbagliato, quello dello chef che conquista subito la ribalta. Invece la cucina è fatica e sudore, non è sorrisi e giochi di prestigio davanti alle telecamere. Etica vuol dire rispetto. Il cuoco deve essere focalizzato sul cliente, non sul piatto. Se faccio un piatto deve piacere al cliente, punto e basta. Purtroppo oggi molti chef sono concentrati sul piatto, sul gradimento delle guide. Ma per il cuoco il cliente deve essere la priorità di ogni giorno. La mia ansia, non lo nego, è quella di cercare spasmodicamente la sua soddisfazione e se un piatto non gli piace, io non glielo faccio pagare. Il mio istinto mi dice di comportarmi così: la mia, in questo caso, è etica comportamentale. E poi sprechiamo troppo. Vedo in certi ristoranti rubinetti aperti per ore per risciacquare i capperi. Ma è mai possibile? Negli occhi della gente leggo desiderio di semplicità, onestà. Di un piatto riproducibile a casa. Non devi portare in tavola un'opera d'arte fine a se stessa.
Chi nutre deve avere una proposta universale adatta a tutti; altrimenti fai sperimentazione, non ristorazione. E poi etica significa per me anche fratellanza e solidarietà fra tutto lo staff, dal lavapiatti allo chef. È questo il piatto perfetto. Oltre naturalmente al mio preferito: spaghetti, olio e parmigiano».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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