Giusta la cittadinanza agli italiani all'estero

Con il rigore necessario nei controlli delle genealogie, e dopo congrui esami di lingua italiana per i candidati, non posso che sostenere la giusta lotta

Giusta la cittadinanza agli italiani all'estero

Caro Direttore Feltri,
vorrei informarla e chiederle, se ritiene, sostegno a proposito di una battaglia che stiamo combattendo noi italiani residenti in Brasile anche per conto dei nostri figli e nipoti. Da ex deputato italiano eletto nella circoscrizione dell'America Latina mi tengo informato sulle iniziative legislative della nostra nazione. Con profonda preoccupazione ho appreso e fatto conoscere ai nostri connazionali residenti fuori dai confini nazionali che, secondo il recente schema di decreto-legge sulle «Disposizioni urgenti in materia di cittadinanza», gli italiani residenti all'estero figli e nipoti di chi ha costruito l'Italia con impegno, sacrificio e speranza vengono oggi considerati un «rischio per la sicurezza nazionale». E perciò non potranno più, non essendo nati in Italia, essere riconosciuti come cittadini italiani. Il Decreto 36, firmato dal Ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani, stabilisce nuove limitazioni severe alla trasmissione della cittadinanza italiana introducendo elementi propri dello ius soli. Insomma, la maggioranza di centrodestra giustamente si oppone a dare automatica cittadinanza a chi nasce in Italia da genitori stranieri, rifiutando lo ius soli. Ma poi nega in nome dello ius soli l'italianità a discendenti di italiani che hanno il torto di non essere nati come mio nonno a Ivrea. Questa misura priverebbe milioni di italiani nel mondo del diritto alla cittadinanza, spezzando un legame storico e culturale che unisce l'Italia ai suoi figli sparsi oltre confine.
Gli italiani all'estero non hanno mai smesso di mantenere vivo il legame con la madrepatria. Etichettarci come «fattore di rischio» è ingiusto e offensivo.
Noi siamo, da sempre, i naturali ambasciatori dell'Italia nel mondo, custodi della sua cultura, dei suoi valori e della sua identità. Nessuna distanza ha mai cancellato il nostro senso di appartenenza.
Con rispetto e fiducia, Le chiediamo gentilmente una risposta su questo tema così cruciale.

Luis Roberto di San Martino Lorenzato di Ivrea

Carissimo Luis Roberto, ti do del tu, anche se a quanto mi risulta hai il titolo di marchese e pure quello di onorevole. Non posso che sostenere il tuo e vostro desiderio di mantenere anche formalmente il vostro diritto di dare a figli e nipoti dei nostri connazionali la cittadinanza italiana.

Innanzitutto dedico questo mio convincimento a un mio illustre e compianto concittadino, il ministro Mirko Tremaglia, che si batté riuscendoci - per inserire in Costituzione il diritto di voto e la possibilità di eleggere propri rappresentanti agli italiani emigrati in ogni Paese del mondo.

So bene che tanti specie a sinistra vi ritengono portatori di un virus patriottico visto dai progressisti come fumo negli occhi. Prevale tra costoro l'idea cosmopolita per cui l'unica patria adeguata è il mondo, e la nazione è un concetto reazionario. A partire da questa negazione dell'identità italiana come legata anzitutto alla stirpe, essi teorizzano e promuovono un'immigrazione di massa, prevedendo con apposito referendum l'automatico riconoscimento della cittadinanza italiana passati cinque anni dal momento che chiunque sia riuscito a mettere piede in Italia, e l'immediata applicazione dello ius soli e del passaporto italiano a chi sia partorito nel nostro Paese.

Conosco il principio liberale secondo cui chi non paga le tasse non può eleggere nessuno, e invece chi le paga sì. Esiste però anche il principio tremagliano secondo cui è bene che in una nazione come la nostra, che ha visto milioni di famiglie emigrare spinte dalla fame, ci sia chi possa richiamare gli organi legislativi a ricordarsi di legami più vincolanti di una denuncia dei redditi, tanto più che le comunità di italiani nel mondo valgono più di un ufficio della camera di commercio nel propagandare e diffondere il Made in Italy e gli interessi nazionali in generale. Non dimentico che in Gran Bretagna, allo scoccare della seconda guerra mondiale, gli italiani immigrati e i loro discendenti furono internati, bambini compresi. E che comunque a essere vittime di pregiudizi e razzismi anti italiani sono sempre quanti si onorano di riconoscersi nel tricolore ovunque abbiano piantato le tende per lavorare. Che sia il nostro governo a negare la loro italianità «per ragioni di sicurezza» è un paradosso odioso.

Sono consapevole che ci sono stati abusi. Che in certi consolati ci siano stati casi di corruzione per simulare discendenze fasulle e ottenere così senza averne titolo i diritti di cittadinanza. Abbiamo in mente il tesseramento di calciatori extracomunitari in società che hanno fantasiosamente creato antenati marchigiani o piemontesi a indios delle Ande. Ma, con il rigore necessario nei controlli delle genealogie, e dopo congrui esami di lingua italiana per i candidati, non posso che sostenere la giusta lotta, che tu caro Luis Roberto, combatti. E lo fai a nome di intere comunità italiane, non solo residenti in Sud America, che ancora parlano l'amato dialetto dei loro nonni, conservandolo dopo essere sopravvissuti a colonizzazioni di territori inospitali.

Ti prego intanto di portare i miei saluti ai connazionali dello Stato di Santa Catarina in Brasile, in particolare alla comunità di Botuverà dove dalla fine dell'800 la lingua

locale, parlata in consiglio comunale, è il Brazilian Bergamasch. Ogni anno vi si tiene la Festa Bergamasca, dove si celebrano le radici orobiche con canti popolari, danze tipiche e gastronomia delle Alpi Bergamasche. Prosit.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica