E ora chi avrà il coraggio di raccontar loro che bisogna ancora credere alla favola che vincere con le proprie forze sia più glorioso che attingere al calice velenoso del doping? Tanto poi o la si fa franca o si può sempre fare outing. Ivan Basso ha parlato e ha aperto la via a una nuova categoria di pentiti ma ha anche staccato in salita i sogni di tanti ragazzi che praticano sport e fino a ieri avevano ancora dei miti. E nel mondo giovanile la piaga del doping si insinua con un richiamo tanto suadente quanto pericoloso. A sette o otto anni cominci a prendere la bottiglietta rossa che «ti fa staccare l'amichetto», a 13 o 14 c'è quell'integratore da cui pare dipendere tutto e a 17 anni ormai sei quasi convinto che per fare il salto di qualità, magari pure monetizzandolo, ci vuole l'aiutino.
Secondo un'indagine del 2005 dell'Istituto superiore di sanità, il 35,7% di giovani sportivi (su un campione di 5mila ragazzi in attività sportiva, la maggior parte calciatori, fra i 14 e i 17 anni) ricorrerebbe a un non meglio specificato aiutino se avesse la certezza del risultato. «Questo fa di un terzo degli intervistati dei potenziali, futuri, clienti per il business del doping», spiega Marcello Ghizzo, medico sportivo del Coni di Milano, «ma i dati vanno presi con le pinze, dato il ristretto numero degli intervistati». Dati vaghi, campione esiguo, risultati da prendere con cautela ma comunque sconfortanti: nel mondo dello sport giovanile, dilettantistico e di categorie cadette, i controlli anti doping sono pochi perché i fondi scarseggiano e quelli che ci sono vengono destinati alle categorie superiori. Basti pensare che la Finanziaria 2006 aveva ridotto del 19% le risorse destinate alla Commissione vigilanza e controllo sul doping, poi prontamente recuperate nel 2007. «Un'analisi completa, con test incrociati sangue/urine - spiega Massimo Besnati, presidente dell'associazione medici del ciclismo e medico in forze alla Quick Step - può costare anche 800 euro». Non stupisce quindi che in un anno siano poco più di 1500 i controlli che si possono effettuare "random" sull'intera popolazione sportiva. E parliamo di dati dell'Istituto superiore di sanità, perché poi ogni federazione agisce, spesso anche a livello regionale, secondo le proprie risorse, producendo dati utili, ma difficilmente amalgamabili per fornire un quadro omogeneo e individuare una strategia comune di lotta al doping.
Comune e condiviso è invece il triste iter che può portare i ragazzi a sbagliare strada: «L'età a rischio è fra i 17 e i 18 anni - dice Besnati -. Prima riscontriamo il tentativo di modificare le prestazioni, ricorrendo solo a qualche integratore». Come a dire, però, che nell'età di coca cola e aspirina il danno è già fatto, perché il tarlo si è già annidato nella mente dei giovani: «Chi crede più nell'integratore che nelle proprie possibilità - aggiunge Ghizzo - è preda facile».
Un'altra ricerca conferma che i giovanissimi sono spesso ben informati sulle sostanze proibite e traggono più dai media che non da scuola e famiglia la loro cultura: «Più il ragazzino cresce, meno parla in casa - spiega Ghizzo -. Ecco perché i suoi referenti restano gli allenatori e il medico». Un entourage che spesso annovera gatto, volpe e altri affini: «Può essere molto affollata la corte che mal consiglia il ragazzo - aggiunge ancora Besnati -. Ci sono gli allenatori insistenti, i genitori con le loro aspettative e ci siamo noi medici, alcuni dei quali hanno venduto l'anima alla scienza del male, molto ma molto redditizia».
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