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Land of Mine sbarca al cinema: è la storia delle torture sui vinti

Esce in Italia il film che narra dei trattamenti disumani che i prigionieri di guerra tedeschi subirono dopo la Seconda Guerra Mondiale. Venendo utilizzati come carne da macello per espiare le colpe dei propri padri

Land of Mine sbarca al cinema: è la storia delle torture sui vinti

Un’interminabile lingua di sabbia che si affaccia sul mare. Un forte vento soffia sulle onde del Mare del Nord. Dall’alto di una duna il sergente Rasmussen guarda in basso, verso una parte della spiaggia che è anche un campo minato, dove un gruppo di dieci ragazzini che camminano a braccetto forma una lunga fila. A pochi metri di distanza sono seguiti da due soldati armati. I ragazzini sono dei prigionieri di guerra tedeschi che vengono utilizzati dalle autorità danesi per camminare su spiagge che nascondono migliaia di mine antiuomo. Appena una di queste verrà calpestata un tedesco morirà, altri rimarranno mutilati. In questo modo, però, verrà bonificata l’intera area.

E’ questa una delle tante scene di Land of Mine – Sotto la sabbia, il film del regista danese Martin Zandvliet, realizzato in cooperazione con la televisione tedesca Zdf. Nei cinema italiani dal 24 marzo, racconta la vera storia dei duemilaseicento soldati tedeschi costretti a sminare le coste della Danimarca nell’immediato dopoguerra. Perlopiù giovani tra i 14 e i 18 anni, arruolati nei mesi precedenti alla disfatta del Reich. Metà di loro finiranno uccisi o mutilati.

Il film si focalizza sulle vicende (realmente accadute) di un gruppo di 15 giovani soldati tedeschi che, come tanti altri propri connazionali, vennero fatti prigionieri sul finire della guerra e, a conflitto finito, furono spediti in Danimarca per “scavare sotto la sabbia”. Lungo le coste occidentali danesi, infatti, giacevano ad una profondità di appena venti centimetri circa due milioni di mine antiuomo che le truppe naziste avevano disseminato dopo l’invasione del 1940. Una quantità di ordigni enorme, superiore a quella di qualsiasi altra nazione occupata, perché i comandi dell’Asse credevano gli eserciti alleati sarebbero sbarcato lungo quel versante, considerato il ventre molle dell’Europa, e non in Normandia come poi invece avvenne.

Sotto la supervisione del feroce sergente Rasmussen e di altrettanto sanguinari soldati danesi, i ragazzi hanno il compito di ripulire la zona dalle mine nascoste dai propri connazionali. “Le mine tedesche” continua a ripetere il sergente “verranno bonificate dai tedeschi”. I quali, giovani e fiaccati dalla guerra, vengono utilizzati come vera e propria carne da macello per espiare le colpe del regime nazista.

Durante tutti il film traspare infatti l’odio atavico che i danesi provano nei confronti degli ex invasori. Non solo i militari, ma anche la gente comune detesta chiunque sia tedesco. I prigionieri di guerra non vengono per questo solo utilizzati come bonificatori, ma anche come vere e proprie valvole di sfogo della rabbia dei carcerieri. Lasciati volontariamente per lunghi periodi senza cibo, i prigionieri sono spesso vittime delle aggressioni dei soldati e della popolazione locale. Coperte e giustificate dalle alte cariche militari e dai comandi inglesi che, aggirando la Convenzione di Ginevra, umiliarono e mandarono al massacro centinaia di ragazzi. Colpevoli esclusivamente di provenire dalla Germania.

Il film inizia fotografando fin dal primo istante l’odio profondo verso i tedeschi: le prime scene mostrano subito i violenti pestaggi e le torture subite dai prigionieri. Non viene invece data spiegazione né contestualizzata l’origine dell’odio anti-tedesco. Non c’è alcun accenno ai motivi per cui i danesi provassero una tale avversione per i nemici, legati all’invasione e all’occupazione. Che comunque non giustificherebbe i trattamenti disumani riservati ai prigionieri in tempo di pace.

La narrazione prosegue mantenendo una tensione alta e costante, dando un taglio realistico da documentario. Per rendere lo scenario crudo, drammatico e veritiero, il regista non ricorre mai all’uso della musica, mentre le immagini sottolineano i forti contrasti: luoghi bellissimi dalla natura incontaminata sono teatro di una lenta e logorante tortura psicofisica, il volto giovane e spensierato dei ragazzini prigionieri viene utilizzato come valvola di sfogo per colpe non loro da parte dei carcerieri. L’orrore maggiore non è rappresentato dalle scene di mera tortura, ma dal senso di oppressione e di vicinanza con la morte che accompagna la logorante routine dei prigionieri. Senza che ciò riesca però a spegnere, in alcuni di loro, la speranza di poter un giorno tornare in Germania a ricostruire le proprie case distrutte dai bombardamenti. Speranza che l'esercito danese vuole però vanificare.

@luca_steinmann1

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