La cultura della resa

L’assoluzione a Milano di tre islamici accusati di terrorismo e il fallimento del vertice euromediterraneo a Barcellona hanno lo stesso tratto: l’incapacità per l’Europa di superare quella «cultura della resa» che costituisce il primo ostacolo nella lotta al fondamentalismo. La decisione della Corte d’Assise d’appello e l’imbarazzante conclusione del summit che doveva dare un codice al terrorismo e alle azioni per contrastarlo, sono figli di un pensiero debole per cui la jihad può essere sconfitta con i normali strumenti (politici e giuridici) dedicati alla lotta della criminalità organizzata.
Si tratta di un colossale errore commesso tragicamente in passato proprio dal Paese che oggi è in prima linea nella «guerra al terrore»: gli Stati Uniti. Quando il World Trade Center fu colpito per la prima volta nel 1993 (sei morti, ma potevano essere già allora migliaia) il processo fu affrontato come un normale fatto di criminalità, non furono prese precauzioni sulla pubblicità degli atti e delle testimonianze. Il risultato fu che Osama Bin Laden utilizzò le informazioni raccolte per preparare il bis dell’11 settembre 2001. Sappiamo tristemente com’è andata quella storia e l’Europa sembra oggi ripercorrere gli stessi errori di un’America allora ingenua e superficiale.
Silvio Berlusconi, qualche giorno fa, vantava l’azione di prevenzione antiterrorismo del nostro Paese. Oltre 200 arresti non sono frutto di un’improvvisa retata propagandistica, ma di indagini e riscontri per cui il sospetto si avvicina a «un chiaro e presente pericolo» per i cittadini. Stendiamo un velo pietoso sulla figuraccia rimediata da chi è arrivato addirittura a negare che le cifre fossero vere e soffermiamoci invece su un punto delicatissimo: i processi. Molti hanno avuto lo stesso esito di quello di Milano: assoluzioni per l’accusa di terrorismo e condanne invece per altri reati come la criminalità organizzata o minori. Si è sempre detto che la magistratura è un potere autonomo sganciato dalla politica, ma spesso lo è anche dalla realtà. Si è sempre detto che i giudici applicano la legge e il ragionamento non fa una grinza, ma si dimentica di dire che spesso l’interpretazione della legge è assai elastica. Non solo, si è colpevolmente omesso di dire che tutte le volte che qualcuno ha cercato di cambiare il codice in maniera efficace per fronteggiare una minaccia come quella del terrorismo, le toghe hanno alzato - come sempre - barricate corporative. Recentemente con l’approvazione del «pacchetto Pisanu» sono state apportate delle variazioni. Ma la prova dell’aula dice che non sono sufficienti. L’esempio delle Procure di Napoli e Brescia che sul medesimo caso, le stesse indagini e gli stessi sospettati, hanno preso decisioni contrastanti, ha convinto qualcuno a riaprire il tema della Procura unica nazionale sull’antiterrorismo. Si può essere favorevoli o contrari, ma se si apre una discussione vuol dire che c’è un problema serio. Attenzione, il tema non è quello riduttivo dei codici e codicilli, ma quello ben più ampio e universale della libertà e della sicurezza di una comunità civile. Il terrorismo è un nemico subdolo, che non esita a colpire indiscriminatamente le popolazioni. In Irak Al Qaida è arrivata a confezionare bambole cariche di esplosivo da regalare alle bambine. Uomini così feroci non possono godere di alcun privilegio processuale, ma anche i loro supporter non possono avere sconti né essere trattati come ladri di portafogli. Conosciamo già l’obiezione: l’Italia non è l’Irak, sono ipotesi lontane. Obiezione accolta. Ma neanche Londra lo era e neppure Madrid e tuttavia questa lontananza geografica e culturale non ha impedito al terrorismo di uccidere degli innocenti.
Nonostante queste tremende esperienze, l’Europa ieri non ha trovato un accordo al suo interno e con i Paesi mediorientali. Ci si è limitati a condannare genericamente il terrorismo (e chi avrebbe avuto il coraggio di sostenere il contrario?) ma quando si è arrivati al nodo del problema, cioè cosa debba intendersi per «terrorismo» e cosa si vuole combattere, sono volati gli stracci e il prode Zapatero ha dovuto prendere atto del flop. Mentre a Barcellona la foto finale del vertice immortalava soltanto i leader dell’Ue (nessun capo di Stato mediorientale era presente), in Italia si consumava l’ennesimo caso di processo a porta girevole: le forze dell’ordine arrestano, i magistrati scarcerano.

Può accadere, ma quando l’eccezione diventa la regola allora bisogna cominciare a riflettere, prima di ritrovarsi, prigionieri della cultura della resa e della retorica del dialogo, a combattere a mani nude un nemico armato e spietato.

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