Gli adulti tradiscono i sogni dell'adolescenza e il «Regno degli amici»

Gli adulti tradiscono i sogni dell'adolescenza e il «Regno degli amici»

L a dolcezza della violenza inaspettata, dimenticata, rimossa: i sensi di colpa per una colpa che non abbiamo commesso, quasi un richiamo a un'idea cattolica che abbiamo imparato a memoria, portandone la croce ogni volta che respiriamo soffocarti da una croce senza (d)io. «Tuo è il Regno» come se il Padre Nostro non fosse una preghiera, ma l'evocazione di una promessa che scopriamo sventrata solo entrando in un'età non più adulta, ma adulterata. Dai segni della vita, dai segni di sogni disillusi, ma sempre rincorsi come se a starci a cuore fosse solo il lieve pesante fardello della condizione (non) umana a cui tutti siamo destinati. Con Il Regno degli amici (Einaudi, pagg. 310, euro 18) Raul Montanari ci consegna il più potente dei suoi romanzi: un libro come pochi scrittori italiani sarebbero oggi in grado di scrivere legati come sono al proprio cordone ombelicale. Montanari riesce a coniugare una grande scrittura con un'idea narrativa che diventa lettura difficile da abbandonare, ma anche metafora - vera, riuscita, sconcertante - di come la ferocia dei nostri giorni sia essere vittime inconsapevoli di una società che non è una dittatura, ma un Reame dove tutto è un gioco, condannati come siamo a vivere come adolescenti seppur del tutto privati della forza dell'istinto che quella età comporta.

Ambientato nel 1982, proprio nell'anno in cui la strategia della tensione diede il cambio alla strategia della finzione, al centro ha tre protagonisti: tre adolescenti che trovano il proprio «regno» in una vecchia casa sulla Martesana, angolo di Milano affacciato sul Naviglio. Il vero protagonista è Demo, spirito anarchico. Poi ci sono Fabiano, che ha il mito di Che Guevara, ed Elia, chiamato «Il Profeta» non solo per il nome evocativo. Sullo sfondo di una Milano non ancora del tutto da bere ci sono i primi supermercati di catena, le marche che iniziano a diventare un sinonimo di qualità, una sessualità consumata ancora su riviste erotiche patinate e fumetti porno dai nomi improbabili. I tre ragazzi rimarranno bruciati. Non dalla droga, che in quegli anni iniziava a mietere vittime, ma dall'amore. Al centro dei pensieri del protagonista c'è Valli. Sarà proprio Valli a essere al centro della perdita dell'innocenza non solo dei tre ragazzi, ma del mondo. Gli amici non si arrendono, lottano ma alla fine sono costretti a comprendere che «gli assilli piccoli e grandi della vita servono a questo: a farti dimenticare l'abisso». Pur raccontando una generazione, Montanari non ha scritto un romanzo generazionale. E in questo sta la sua bravura.

Non è romanzo triste quello di Montanari - traduttore dall'inglese tra gli altri di Philip Roth, Cormac McCarthy, Edgar Allan Poe e di classici greci - anzi: si respira serenità. Pur venata dalla malinconia per un'adolescenza che è la stagione della vita in cui uno incontra se stesso una volta per sempre. Perché «A quell'età contempli la vita con una purezza che non avrai mai più, senza sporcarla con miserie accessorie - vecchiaia, malattia, come starò, chi ci sarà al mio capezzale.

Poi, quando il futuro è arrivato, scopri che la felicità vera era quella che avevi vissuto allora. Avevi scambiato l'esecuzione per i preparativi: quella a cui avevi assistito a quindici anni non era la prova d'orchestra. Era già il concerto».

@gianpaoloserino

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