Cultura e Spettacoli

Apre con lo spirito dell'Africa l'archi-casa delle altre culture

Benvenuti al Mudec, il mega spazio espositivo nella vecchia fabbrica Ansaldo dedicato all'arte extra occidentale. Primo ospite: il Continente Nero

Apre con lo spirito dell'Africa l'archi-casa delle altre culture

È l'Africa il primo mondo da esplorare e conoscere che Milano incontra in una delle tante iniziative culturali ad anticipare l'imminente Expo. E per celebrare questo continente così complesso e ricco di stimoli apre addirittura un nuovo museo, il MUDEC, acronimo che sta per Museo delle Culture, in zona Tortona, a due passi da Porta Genova, in quella che un tempo era la fabbrica dell'Ansaldo.

Anticipato dalle oziose polemiche tra l'amministrazione comunale e l'architetto David Chipperfield, responsabile del progetto, molto insoddisfatto della resa del pavimento in pietra, il MUDEC rappresenta un ideale connubio tra il mondo pubblico e quello privato. Le due ali dell'edificio, infatti, sono state divise tra la parte che ospiterà le collezioni milanesi dedicate all'antropologia e all'etnologia, gestite dal Comune, e quella pensata per le mostre temporanee appaltata per dodici anni a 24Ore Cultura che gestirà i servizi di biglietteria, ristorazione e bookshop. E infatti il programma espositivo si annuncia molto competitivo con la sede di Palazzo Reale: già annunciati un Gauguin e la Polinesia e, nel 2016, una personale di Jean-Michel Basquiat.

Questo nuovo museo sembra interessante, ampio e funzionale, con uno spazio da ripensare e rimodellare per ogni diversa occasione. Si apre oggi al pubblico con due mostre dal taglio piuttosto divulgativo, la prima è Africa. Terra degli spiriti (fino al 30 agosto), la seconda Mondi a Milano (fino al 19 luglio) incentrata sulle influenze di culture non europee nel tessuto urbano lombardo a partire dalla seconda metà dell'800 per giungere agli anni '30 del XX secolo, quando imperversavano le Esposizioni Universali che di Expo sono l'antipasto.

Nella mostra sull' Africa ci sono 270 pezzi divisi in 6 sale a raccontare il ruolo fondamentale che il Continente Nero ha avuto in Occidente, e non solo perché diversi artisti, da da Picasso a Giacometti, ne hanno prelevato spunti e stilemi per inglobarli nella propria estetica formale. L'Africa, insomma, esiste di per sé, nonostante fino alla fine del '900 non sia mai stato considerato un valore per noi gente dell'Ovest imprescindibile, ovvero quello dell'autorialità. Ciò non significa, peraltro, che in altre zone del mondo non vi fossero proposte artistiche degne di tale nome. Mentre in Europa si consumava il passaggio dal Medioevo al Rinascimento, quando in Italia lavoravano prima Giotto poi Raffaello, altrove sconosciuti maestri locali sapevano usare legni, metalli, pietre, raccontando le storie della loro gente, dei popoli, tra credenze religiose e una spiccata tendenza al profano, tra usanze e riti familistici. Altra questione non da poco è la differenza che intercorre tra la figura dell'artista - che noi occidentali riconduciamo a un nome preciso - e quella dell'artigiano, altrettanto abile ma forse privo di quella consapevolezza ideativa e concettuale che lo relega in un limbo da dove è difficile uscire.

Pur non essendo una mostra d'arte vera e propria, Africa non può fare a meno di considerare quel passaggio epocale che ci fu verso la fine degli anni '80, a partire dalla strepitosa rassegna Magiciens de la Terre al Centre Pompidou di Parigi nel 1989, che inaugurò una nuova sensibilità nei confronti dell'«altro», eliminando la componente eccessivamente etnografica. Anche in questa occasione sculture, oggetti, manufatti si propongono come reperti di un viaggio all'interno di una cultura dal valore immenso, cui mal si addice l'aggettivo primitivo. Certo semplice nelle forme, immediata nei messaggi e quindi estremamente affascinante: è l'Africa nera, il cuore del Continente, ad aver attratto lo sguardo inquieto degli europei alla ricerca di novità e di purezza. Curata da Ezio Bassani, Lorenz Homberger, Gigi Pezzoli e Claudia Zevi con l'allestimento puntuale e scenografico di Peter Bottazzi, Africa può essere una scommessa vinta, proprio perché nel suo impianto filologico non tradisce le aspettative di un pubblico più vasto e non solo degli esperti.

Mondi a Milano risulta invece molto meno chiara nelle proprie intenzioni, priva com'è di una regia che tenga unite le diverse esperienze. Emerge un labile filo conduttore sul tema, mal sviluppato, dell'esotismo tra il rimando alle mostre del 1881 e 1906 e l'attività coloniale durante il Ventennio.

C'è un po' di tutto, dallo sbarco di Buffalo Bill nei circhi europei alle esperienze di architettura funzionale in Libia e in Etiopia, dal revival egiziano alla moda dell'orientalismo.

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