Athos, le ultime parole del moschettiere tragico

Non è guascone come D'Artagnan, furbo come Aramis, deciso come Porthos. La sua forza è nella memoria. Che rinasce nel romanzo di Alberto Ongaro

Athos, le ultime parole del moschettiere tragico

Non è vero che gli eroi non muoiono di vecchiaia. Non tutti, almeno. Non tutti bruciano in fretta. Non tutti sono come Achille. Non tutti sono eterni. Non tutti non invecchiano mai. Non tutti cadono colpiti alle spalle dalla mano mercenaria di nemici fantasma come il povero Cyrano. È vero però che pochi sono come lui, come il più silenzioso dei moschettieri, con quei ricordi che bruciano l'anima. Athos è unico. Non ha l'incoscienza guascona di D'Artagnan. Non ha la furbizia di Aramis. Non prende il mondo a calci come Porthos. E neppure il rancore arguto del quinto moschettiere, l'unico non firmato da Dumas. Athos vive per sopravvivere al suo tormento. Cyrano non sa rivelare il suo amore e si nasconde. Athos ama una donna che non merita una libbra del suo amore. Athos si è rinnegato. Athos ha cancellato ogni traccia di quello che era, ma convivendo con l'altro se stesso, quello originario, che è il conte de la Fère. Athos è moschettiere per punirsi. Athos è un D'Artagnan nobile, colto ma soprattutto sofferto e sofferente. Aramis si specchia, Athos vorrebbe solo vedere il riflesso del nulla. D'Artagnan è sempre di fretta e arriva sempre tardi. Athos aspetta. Aspetta da una vita e conta i minuti, le ore, i giorni, che passano. «Il tempo è quel luogo dove qualcuno aspetta qualcun altro che non arriva».
Adesso è qui. E aspetta la morte («ma poi arriva davvero questa morte?»). Ascoltate e aspettate che sia lui a raccontarsi, in un dormiveglia dove tutto si confonde, riaffiora, prende forma, va alla deriva come frammento. La sua voce questa volta non è quella di Dumas padre. È quella di Alberto Ongaro e del suo romanzo Athos, vita, avventure segrete e morte presunta di un personaggio (Piemme, pagg. 233, euro 16,50). Come si diventa un personaggio? Cosa ti cambia il destino? «Sono sempre stato colpito dai personaggi immaginari che, nati a secoli di distanza, continuano a circolare tra noi. Ho pensato così ad Athos, che mi ha sempre affascinato: è il più tragico dei moschettieri, con un passato che soltanto a frammenti viene fuori nel ciclo di Dumas, più taciuto che detto. Pensi che un mio amico, che è “pazzo” di Athos, è andato a rintracciare in Francia le sue terre, le terre dei conti de la Fère, il suo casato, che esistono per davvero».
Questa è una vita. È la prima avventura di un giovanotto che non ha ancora bisogno di affogare le cicatrici nel vino. Sono i ricordi di Athos quando è il conte de la Fère. È un viaggio in Italia. È un Grand Tour. È avventura. È intrigo. È la corsa per impedire che un gruppo di congiurati cattolici faccia la pelle a Galileo Galilei. È quello che resta di una stagione piena di sogni. Ma sul letto di morte ci sono anche tutti gli altri. Ci sono i moschettieri e Richelieu. Ci sono i giorni non più felici. C'è l'ansia per un figlio che non torna. C'è il re e Mazarino dei vent'anni dopo. C'è D'Artagnan che arriva di fretta quando ormai è troppo tardi. Ci sono tarocchi e cartomanti. C'è Venezia. C'è soprattutto lei, Milady, la donna amata, la sposa, l'inganno, la spia, la ladra, con la spalla marchiata dal giglio di Francia. «E qui - dice Ongaro - mi sono preso un piccola libertà. Ho lasciato che a intuire le sue menzogne fosse il cavallo di Olivier de Bragelonne de La Fère. Il nome del cavallo? Equus. Equus è l'idea del cavallo. È il noumeno. Equus si rifiuta di essere montato da lei. È lui che sente a pelle cosa si nasconde sotto il sorriso di Anne de Breuil. È lui che smaschera Milady, perché gli animali vedono l'invisibile».
Parla lento e a fatica, Ongaro. Perché sappiamo che Athos in fin dei conti è lui. Lo scrittore e il personaggio stanno raccontando una vita. Una vita senza la parola fine, perché gli eroi di carta non muoiono mai veramente, e questa storia come in tutti i romanzi d'avventura si chiude con le parole à suivre. Alberto Ongaro con i suoi 89 anni pieni di avventure vissute e immaginate. Ongaro il veneziano, lo scrittore, lo sceneggiatore di fumetti, che come Olivier de Bragelonne porta a spasso uno pseudonimo, quello di Alfredo Nogara. E poi, certo, l'amico di Hugo Pratt. Strana storia, quella dei due veneziani. Se Ongaro è Athos, Pratt è D'Artagnan. Moschettieri con caratteri diversi. Si amano e ogni tanto si trovano insopportabili. «Sì, ricordo la prima volta che l'ho incontrato. Era a Venezia. Veniva avanti a capo di una banda di ragazzini. Pensai: ecco, questi sono i ragazzi della via Pal». Erano gli ultimi fuochi di guerra. E loro sognano l'oltremondo, uno racconta con le parole, l'altro con i disegni. Si influenzano. Si rincorrono. Con Mario Faustinelli creano Asso di picche, giustiziere in calzamaglia gialla e acrobata. Poi il Sudamerica, la vita in Argentina. E l'approdo nel mare salato. Chi era Hugo Pratt? «Anarchico libertario, individualista estremo, dotato di una mano prodigiosa, di grande fantasia e della capacità di organizzarla.

Il suo demone? Coltivare il proprio talento». Chi dei due è Corto Maltese? «Nel 1970 scrissi Romanzo d'avventura. Il protagonista aveva molto di Hugo. Penso che in qualche modo abbia voluto ricambiare il favore. Sì, forse c'è qualcosa di me in Corto Maltese».

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