Per carità, tutti bravi, tutti buoni, e anche generosi, gli amici, Mikhail Piotrowskiy, sensibile e delicato come un personaggio del Lotto, la bella Irina Artemieva, curatrice dei dipinti italiani dell'Hermitage di San Pietroburgo, l'intelligentissimo Nicolas Penny della National Gallery di Londra, e gli italiani delle Gallerie dell'Accademia, Giovanna Damiani, Matteo Ceriana, Giulio Manieri Elia, sensibili e scrupolosi, e infine lo studioso di Canova Giovanni Pavanello in rappresentanza di Adriano Mariuz, scomparso, sottilissimo studioso. Tutti insieme per una gran festa, per una riscoperta, dopo il lungo e difficile restauro, per mostrarci negli spazi della chiesa della carità, all'accademia di venezia, il «Tiziano mai visto», la Fuga in Egitto che il Vasari (almeno) vide, probabilmente nel 1542 in Palazzo Grimani Calergi (anche oggi molto frequentato, come sede del Casinò municipale), e che, fuggendo fuggendo, è trasmigrata nel 1768 all'Hermitage.
Un'opera, certo «grande», e «di figure simili al vero», e, ancora, «in mezzo a una gran boscaglia». Sarà il quadro visto dal Vasari? Nessun dubbio, per gli entusiasti scopritori, così come per l'autografia di Tiziano, vista l'autorevole e vicina fonte, anche se un passaggio della descrizione del Vasari non corrisponde all'opera. Tanto preciso, egli parla di «certi paesi molto ben fatti». E se Vasari avesse visto un altro quadro? Persino gli «scopritori» ammettono «qualche imprecisione».
Singolare invece che, cento anni dopo, Carlo Ridolfi lo descriva perfettamente. Anche se, all'epoca sua, l'indicazione dell'autore, per un'opera tanto remota e tanto giovanile, era meno certa. In verità nulla nel quadro parla di Tiziano, anche accettando la precocissima datazione al 1507, per quei fagotti delle figure principali che difficilmente convengono all'armonioso autore del Concerto campestre del Louvre e delle Tre età di Edimburgo. Sulle prime si potrebbe pensare, per le figure, al non disdicevole Giovanni Busi detto il Cariani, mentre l'angelo che guida il giumento, nella slogatura alla Balthus, ci indica l'autore vero che è poi, a portata di sguardo, nella mostra, appena a sinistra, Sebastiano del Piombo, di qualche anno più vecchio: l'autore, secondo il Longhi (e molti altri) delle due tavolette con la Nascita e la Morte di Adone del Museo Lia di La Spezia. Fitto bosco e figure sono della medesima ispirazione, ma è soprattutto il confronto con lo studiatissimo Giudizio di Salomone di Kingston Lacy che convince, e tiene il «nuovo» dipinto, nella sua imprescindibile aura giorgionesca (e anche carpaccesca) negli anni in cui Tiziano e Sebastiano si formano all'ombra di Giorgione, con analoga fedeltà grammaticale ma diversa poesia.
La Fuga in Egitto, mai vista, ha qualcosa d'infantile, bamboleggiante, plastico, che mal si concilia con lo spirito romantico di Tiziano fin dagli esordi. In mostra, la fase iniziale di Giorgione è riconoscibile nei due dipinti della National Gallery di Londra, Omaggio al poeta e Tramonto, certo giovanili rispetto a La Tempesta. Ma Tiziano era virtuoso almeno quanto Giorgione, ed è difficile immaginarlo più indietro di Lorenzo Lotto, così come lo si vede nei coevi e mirabili Allegoria della virtù e del vizio di Washington, e San Gerolamo del Louvre.
Anche agli esordi (1506-07), se paragonato all'autore della Fuga in Egitto, altro che Lotto «come la bontà buona e come la virtù virtuoso», come malignava Tiziano! Dunque Sebastiano, speriamo. E auguri ai veggenti e ispirati amici che non me ne vogliano per aver visto altro nel loro mai visto. Ci consola la presenza di altre opere che fanno coro alla fuga, a partire dalla cosiddetta allegoria di Giovanni Bellini. Tutte opere viste, ma migliori di un Tiziano mai visto, che ora si vede ma non è Tiziano.
Ma, a fianco della mostra alle Gallerie dell'Accademia, c'è un vero e grande Tiziano ritrovato e, per così dire, ricontestualizzato, anche se nella bella sala manca il Gentile Bellini con il reliquario del Bessarione che io vanamente tentai di acquistare, nel 2002, da sottosegretario, per conto del ministero, e che ora è alla National Gallery di Londra: la Presentazione al Tempio della Scuola Grande di Santa Maria della Carità, finalmente restaurata con altre due opere «compagne», è un vero ritrovamento.
Ma non è finito. Il «Tiziano mai visto», e che continua a non essere visto, è un altro, e tra i più grandi; non visto quand'era a Venezia, sporco e remoto, nella Chiesa dei Gesuiti, e, ora, incredibilmente, esiliato ad Alba. Intendo Alba, in Piemonte, all'insaputa di tutti. Vi chiederete perché. Ne sono responsabile, almeno per la parte positiva. Oggi denuncio l'occasione perduta della mia eredità, se non mancata, dimenticata. Venne da me, Sovrintendente a Venezia, il possessore Lionello Puppi, lamentando l'avarizia dei prestiti per la mostra sull'ultimo Tiziano a Belluno. Carente soprattutto del meraviglioso Martirio di San Lorenzo dei Gesuiti. Era per lui arrivato il momento della vendetta: la Banca di Alba, che si candidava all'oneroso restauro, alla condizione di poterlo esporre nella sua trista sede. In pochi minuti, dopo anni di embargo, accordai al restauro e al prestito. Ma posi una condizione: che prima (o dopo, da negoziare) di Alba, e prima di tornare nella sede originale, il dipinto fosse esposto, per essere visto finalmente anche a Venezia in una delle sedi museali dello Stato: le Gallerie dell'Accademia o Palazzo Grimani.
Questa condizione fu dimenticata da Puppi (che non ne aveva responsabilità), dai rappresentanti della Banca (che non avevano interesse) e, forse per damnatio memoriae (di me, intendo) dai dipendenti della Sovrintendenza. Così questo assoluto capolavoro, mai nelle nuove condizioni e sempre poco visto, sverna ad Alba fino a dicembre, nell'infelice sede della banca, con tutti gli onori e poco rumore. Glorioso nel silenzio. Nessuno in Piemonte lo sa, neanche a Santo Stefano Belbo, dove ero nei giorni scorsi per Cesare Pavese; neanche ad Asti; neanche a Canelli; neanche a San Maurizio, dove ospiti di ogni parte del mondo vengono nel magnifico convento trasformato in privilegiato ostello.
Tiziano nascosto ad Alba. E non Tiziano esposto a Venezia. Tiziano, l'uno lontano da Venezia essendo di Venezia, l'altro a Venezia venendo da lontano, per involontario inganno o illusione. Si dirà: Sgarbi cerca grane. No, trovo Tiziano.
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